13 maggio 2023 ore 15.44
La Vita Parrocchiale
Festa di Santa Rita - 22 Maggio 2023 - Rosario -Santa Messa- Benedizione delle rose ore 17,30/18,45
Don Bernardo Domizi
13 maggio 2023
ore 15.44

Festa di Santa Rita - 22 Maggio 2023 -  Rosario -Santa Messa- Benedizione delle rose ore 17,30/18,45

Foto dal Sito -  Festa Santa Rita - Benedizione  delle rose- 22/05/2012

Fine emergenza sanitaria Covid-19: Cei, “tutte le attività ecclesiali tornino a essere vissute nelle modalità consuete

Il Parroco Don Andrea

Santa Rita da Cascia Vedova e religiosa

E' la piccola borgata di Roccaporena, in Umbria, a dare i natali, molto probabilmente nel 1371, a Margherita Lotti, chiamata col diminutivo “Rita”. I genitori, modesti contadini e pacieri, provvedono a farle avere una buona educazione scolastica e religiosa nella vicina Cascia, dove l’istruzione è curata dai frati agostiniani. Matura in tale contesto la devozione verso Sant’Agostino, San Giovanni Battista e Nicola da Tolentino, che Rita sceglie come suoi santi protettori.

Rita moglie e madre
Intorno al 1385 sposa Paolo di Ferdinando di Mancino. Contese e rivalità politiche sono i tratti che contraddistinguono la società di allora; anche il marito di Rita ne è coinvolto. Ma la giovane sposa, con la preghiera, la sua pacatezza e con quella capacità di pacificare appresa dai genitori, lo aiuta pian piano a vivere una condotta più autenticamente cristiana. Con l’amore, la comprensione e la pazienza, quella di Rita e Paolo diviene così un’unione feconda, allietata dall’arrivo di due figli maschi: Giangiacomo e Paolo Maria. Al sereno focolare domestico si contrappone però la spirale d’odio delle fazioni dell’epoca. Lo sposo di Rita vi si trova coinvolto anche per i vincoli di parentela, e viene assassinato. Per evitare di indurre i figli alla vendetta, nasconde loro la camicia insanguinata del padre. In cuor suo Rita perdona chi ha ucciso il marito, ma la famiglia di Mancino non si rassegna, fa pressioni; ne scaturiscono rancori ed ostilità. Rita non smette di pregare perché non si sparga altro sangue e fa della preghiera la sua arma e consolazione. Eppure le tribolazioni non vengono meno. Una malattia provoca la morte di Giangiacomo e Paolo Maria: l’unico conforto è pensare le loro anime salve, non più nel pericolo della dannazione nel clima di ritorsioni suscitato dall’assassinio del coniuge.

Monaca agostiniana
Rimasta sola, Rita comincia una vita di più intensa preghiera, per i suoi cari defunti, ma anche per i “di Mancino”, perché perdonino e trovino la pace. All’età di 36 anni chiede di essere accolta tra le monache agostiniane del Monastero Santa Maria Maddalena di Cascia, ma la sua richiesta viene respinta: le religiose, forse, temono con l’ingresso di Rita - vedova di un uomo assassinato - di mettere a repentaglio la sicurezza della loro comunità. Le preghiere di Rita e le intercessioni dei suoi santi protettori portano invece alla pacificazione tra le famiglie coinvolte nell’uccisione di Paolo di Mancino e dopo tanti ostacoli avviene l’ingresso in monastero. Si racconta che, durante il noviziato, la badessa, per provare l’umiltà di Rita, le abbia chiesto di innaffiare un arido legno e che la sua obbedienza sia stata premiata da Dio con una vite tutt’ora rigogliosa. Negli anni Rita si distingue come religiosa umile, zelante nella preghiera e nei lavori affidatile, capace di frequenti digiuni e penitenze. Le sue virtù divengono note anche fuori dalle mura del monastero, pure a motivo delle opere di carità cui Rita si dedica insieme alle consorelle, che alla vita di preghiera affiancano le visite agli anziani, la cura degli ammalati, l’assistenza ai poveri.

La santa delle rose
Sempre più immersa nella contemplazione di Cristo, Rita chiede di poter partecipare alla sua Passione e nel 1432, assorta in preghiera, si ritrova sulla fronte la ferita di una spina della corona del Crocifisso che persiste fino alla morte, per 15 anni. Nell’inverno che precede la sua morte Rita, malata e costretta a letto, chiede a una cugina, venuta in visita da Roccaporena, di portarle due fichi e una rosa dall’orto della casa paterna. É il mese di gennaio, la donna l’asseconda, pensandola nel delirio della malattia. Rientrata, trova, stupefatta, la rosa e i fichi e li porta a Cascia. Per Rita sono segno della bontà di Dio che ha accolto in cielo i suoi due figli e il marito. Rita spira nella notte tra il 21 e il 22 maggio dell’anno 1447. Per il grande culto fiorito immediatamente dopo, il suo corpo non è mai stato sepolto. Oggi lo custodisce un’urna in vetro. Rita ha saputo fiorire nonostante le spine che la vita le ha riservato, donando il buon profumo di Cristo e sciogliendo il gelido inverno di tanti cuori. Per tale ragione, e a ricordo del prodigio di Roccaporena, il simbolo ritiano per eccellenza è la rosa.

Autore: Vatican News
 


 

Fra le tante stranezze o fatti strepitosi che accompagnano la vita dei santi, prima e dopo la morte, ce n'è uno in particolare che riguarda santa Rita da Cascia, una delle sante più venerate in Italia e nel mondo cattolico, ed è che essa è stata beatificata ben 180 anni dopo la sua morte e addirittura proclamata santa a 453 anni dalla morte.
Quindi una santa che ha avuto un cammino ufficiale per la sua canonizzazione molto lento (si pensi che sant’Antonio di Padova fu proclamato santo un anno dopo la morte), ma nonostante ciò s. Rita è stata ed è una delle più venerate ed invocate figure della santità cattolica, per i prodigi operati e per la sua umanissima vicenda terrena.
Rita ha il titolo di “santa dei casi impossibili”, cioè di quei casi clinici o di vita, per cui non ci sono più speranze e che con la sua intercessione, tante volte miracolosamente si sono risolti.
Nacque intorno al 1381 a Roccaporena, un villaggio montano a 710 metri s. m. nel Comune di Cascia, in provincia di Perugia; i suoi genitori Antonio Lottius e Amata Ferri erano già in età matura quando si sposarono e solo dopo dodici anni di vane attese, nacque Rita, accolta come un dono della Provvidenza.
La vita di Rita fu intessuta di fatti prodigiosi, che la tradizione, più che le poche notizie certe che possediamo, ci hanno tramandato; ma come in tutte le leggende c’è alla base senz’altro un fondo di verità.
Si racconta quindi che la madre molto devota, ebbe la visione di un angelo che le annunciava la tardiva gravidanza, che avrebbero ricevuto una figlia e che avrebbero dovuto chiamarla Rita; in ciò c’è una similitudine con s. Giovanni Battista, anch’egli nato da genitori anziani e con il nome suggerito da una visione.
Poiché a Roccaporena mancava una chiesa con fonte battesimale, la piccola Rita venne battezzata nella chiesa di S. Maria della Plebe a Cascia e alla sua infanzia è legato un fatto prodigioso; dopo qualche mese, i genitori, presero a portare la neonata con loro durante il lavoro nei campi, riponendola in un cestello di vimini poco distante.
E un giorno mentre la piccola riposava all’ombra di un albero, mentre i genitori stavano un po’ più lontani, uno sciame di api le circondò la testa senza pungerla, anzi alcune di esse entrarono nella boccuccia aperta depositandovi del miele. Nel frattempo un contadino che si era ferito con la falce ad una mano, lasciò il lavoro per correre a Cascia per farsi medicare; passando davanti al cestello e visto la scena, prese a cacciare via le api e qui avvenne la seconda fase del prodigio, man mano che scuoteva le braccia per farle andare via, la ferita si rimarginò completamente. L’uomo gridò al miracolo e con lui tutti gli abitanti di Roccaporena, che seppero del prodigio.
Rita crebbe nell’ubbidienza ai genitori, i quali a loro volta inculcarono nella figlia tanto attesa, i più vivi sentimenti religiosi; visse un’infanzia e un’adolescenza nel tranquillo borgo di Roccaporena, dove la sua famiglia aveva una posizione comunque benestante e con un certo prestigio legale, perché a quanto sembra ai membri della casata Lottius, veniva attribuita la carica di ‘pacieri’ nelle controversie civili e penali del borgo.
Già dai primi anni dell’adolescenza Rita manifestò apertamente la sua vocazione ad una vita religiosa, infatti ogni volta che le era possibile, si ritirava nel piccolo oratorio, fatto costruire in casa con il consenso dei genitori, oppure correva al monastero di Santa Maria Maddalena nella vicina Cascia, dove forse era suora una sua parente.
Frequentava anche la chiesa di s. Agostino, scegliendo come suoi protettori i santi che lì si veneravano, oltre s. Agostino, s. Giovanni Battista e Nicola da Tolentino, canonizzato poi nel 1446. Aveva tredici anni quando i genitori, forse obbligati a farlo, la promisero in matrimonio a Fernando Mancini, un giovane del borgo, conosciuto per il suo carattere forte, impetuoso, perfino secondo alcuni studiosi, brutale e violento.
Rita non ne fu entusiasta, perché altre erano le sue aspirazioni, ma in quell’epoca il matrimonio non era tanto stabilito dalla scelta dei fidanzati, quando dagli interessi delle famiglie, pertanto ella dovette cedere alle insistenze dei genitori e andò sposa a quel giovane ufficiale che comandava la guarnigione di Collegiacone, del quale “fu vittima e moglie”, come fu poi detto.
Da lui sopportò con pazienza ogni maltrattamento, senza mai lamentarsi, chiedendogli con ubbidienza perfino il permesso di andare in chiesa. Con la nascita di due gemelli e la sua perseveranza di rispondere con la dolcezza alla violenza, riuscì a trasformare con il tempo il carattere del marito e renderlo più docile; fu un cambiamento che fece gioire tutta Roccaporena, che per anni ne aveva dovuto subire le angherie.
I figli Giangiacomo Antonio e Paolo Maria, crebbero educati da Rita Lottius secondo i principi che le erano stati inculcati dai suoi genitori, ma essi purtroppo assimilarono anche gli ideali e regole della comunità casciana, che fra l’altro riteneva legittima la vendetta.
E venne dopo qualche anno, in un periodo non precisato, che a Rita morirono i due anziani genitori e poi il marito fu ucciso in un’imboscata una sera mentre tornava a casa da Cascia; fu opera senz’altro di qualcuno che non gli aveva perdonato le precedenti violenze subite.
Ai figli ormai quindicenni, cercò di nascondere la morte violenta del padre, ma da quel drammatico giorno, visse con il timore della perdita anche dei figli, perché aveva saputo che gli uccisori del marito erano decisi ad eliminare gli appartenenti al cognome Mancini; nello stesso tempo i suoi cognati erano decisi a vendicare l’uccisione di Fernando Mancini e quindi anche i figli sarebbero stati coinvolti nella faida di vendette che ne sarebbe seguita.
Narra la leggenda che Rita per sottrarli a questa sorte, abbia pregato Cristo di non permettere che le anime dei suoi figli si perdessero, ma piuttosto di toglierli dal mondo, “Io te li dono. Fa' di loro secondo la tua volontà”. Comunque un anno dopo i due fratelli si ammalarono e morirono, fra il dolore cocente della madre.
A questo punto inserisco una riflessione personale, sono del Sud Italia e in alcune regioni, esistono realtà di malavita organizzata, ma in alcuni paesi anche faide familiari, proprio come al tempo di s. Rita, che periodicamente lasciano sul terreno morti di ambo le parti. Solo che oggi abbiamo sempre più spesso donne che nell’attività malavitosa, si sostituiscono agli uomini uccisi, imprigionati o fuggitivi; oppure ad istigare altri familiari o componenti delle bande a vendicarsi, quindi abbiamo donne di mafia, di camorra, di ‘ndrangheta, di faide familiari, ecc.
Al contrario di santa Rita che pur di spezzare l’incipiente faida creatasi, chiese a Dio di riprendersi i figli, purché non si macchiassero a loro volta della vendetta e dell’omicidio.
Santa Rita è un modello di donna adatto per i tempi duri. I suoi furono giorni di un secolo tragico per le lotte fratricide, le pestilenze, le carestie, con gli eserciti di ventura che invadevano di continuo l’Italia e anche se nella bella Valnerina questi eserciti non passarono, nondimeno la fame era presente.
Poi la violenza delle faide locali aggredì l’esistenza di Rita Lottius, distruggendo quello che si era costruito; ma lei non si abbatté, non passò il resto dei suoi giorni a piangere, ma ebbe il coraggio di lottare, per fermare la vendetta e scegliere la pace. Venne circondata subito di una buona fama, la gente di Roccaporena la cercava come popolare giudice di pace, in quel covo di vipere che erano i Comuni medioevali. Esempio fulgido di un ruolo determinante ed attivo della donna, nel campo sociale, della pace, della giustizia.
Ormai libera da vincoli familiari, si rivolse alle Suore Agostiniane del monastero di S. Maria Maddalena di Cascia per essere accolta fra loro; ma fu respinta per tre volte, nonostante le sue suppliche. I motivi non sono chiari, ma sembra che le Suore temessero di essere coinvolte nella faida tra famiglie del luogo e solo dopo una riappacificazione, avvenuta pubblicamente fra i fratelli del marito ed i suoi uccisori, essa venne accettata nel monastero.
Secondo la tradizione, l'ingresso avvenne per un fatto miracoloso: si narra che una notte, Rita, come al solito, si era recata a pregare sullo "Scoglio" (specie di sperone di montagna che s'innalza per un centinaio di metri al di sopra del villaggio di Roccaporena) e che qui ebbe la visione dei suoi tre santi protettori sopra citati, i quali la trasportarono a Cascia, introducendola nel monastero; era l'anno 1407. Quando le suore la videro in orazione nel loro coro, nonostante tutte le porte chiuse, convinte dal prodigio e dal suo sorriso, l’accolsero fra loro.
Quando avvenne ciò Rita era intorno ai trent’anni e benché fosse illetterata, fu ammessa fra le monache coriste, cioè quelle suore che sapendo leggere potevano recitare l’Ufficio divino, ma evidentemente per Rita fu fatta un’eccezione, sostituendo l’ufficio divino con altre orazioni.
La nuova suora s’inserì nella comunità conducendo una vita di esemplare santità, praticando carità e pietà e tante penitenze, che in breve suscitò l’ammirazione delle consorelle. Devotissima alla Passione di Cristo, desiderò di condividerne i dolori e questo costituì il tema principale delle sue meditazioni e preghiere.
Gesù l’esaudì e un giorno nel 1432, mentre era in contemplazione davanti al Crocifisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella fronte, producendole una profonda piaga, che poi divenne purulenta e putrescente, costringendola ad una continua segregazione.
La ferita scomparve soltanto in occasione di un suo pellegrinaggio a Roma, fatto per perorare la causa di canonizzazione di s. Nicola da Tolentino, sospesa dal secolo precedente; ciò le permise di circolare fra la gente.
Si era talmente immedesimata nella Croce, che visse nella sofferenza gli ultimi quindici anni, logorata dalle fatiche, dalle sofferenze, ma anche dai digiuni e dall’uso dei flagelli, che erano tanti e di varie specie; negli ultimi quattro anni si cibava così poco, che forse la Comunione eucaristica era il suo unico sostentamento e fu costretta a restare coricata sul suo giaciglio.
E in questa fase finale della sua vita avvenne un altro prodigio: essendo immobile a letto, ricevé la visita di una parente la quale, nel congedarsi, le chiese se desiderava qualcosa della sua casa di Roccaporena; Rita rispose che le sarebbe piaciuto avere una rosa dall'orto; la parente obiettò che si era in pieno inverno e quindi ciò non era possibile. Ma Rita insistè. Tornata a Roccaporena, la parente si recò nell'orticello e, in mezzo ad un rosaio, vide una bella rosa sbocciata. Stupita, la colse e la portò da Rita a Cascia la quale, ringraziando, la consegnò alle meravigliate consorelle.
Così la santa vedova, madre, suora, divenne la santa della ‘Spina’ e la santa della ‘Rosa’; nel giorno della sua festa questi fiori vengono benedetti e distribuiti ai fedeli.
Il 22 maggio 1447 (o 1457, come viene spesso ritenuto) Rita si spense, mentre le campane da sole suonavano a festa, annunciando la sua ‘nascita’ al cielo. Si narra che il giorno dei funerali, quando ormai si era sparsa la voce dei miracoli attorno al suo corpo, comparvero delle api nere, che si annidarono nelle mura del convento e ancora oggi sono lì: sono api che non hanno un alveare, non fanno miele e da cinque secoli si riproducono fra quelle mura.
Per singolare privilegio il suo corpo non fu mai sepolto, in qualche modo trattato secondo le tecniche di allora, fu deposto in una cassa di cipresso, poi andata persa in un successivo incendio, mentre il corpo miracolosamente ne uscì indenne e riposto in un artistico sarcofago ligneo, opera di Cesco Barbari, un falegname di Cascia, devoto risanato per intercessione della santa.
Sul sarcofago sono vari dipinti di Antonio da Norcia (1457), sul coperchio è dipinta la santa in abito agostiniano, stesa nel sonno della morte su un drappo stellato; il sarcofago è oggi conservato nella nuova basilica costruita nel 1937-1947; anche il corpo riposa incorrotto in un’urna trasparente, esposto alla venerazione degli innumerevoli fedeli, nella cappella della santa nella Basilica-Santuario di santa Rita a Cascia.
Accanto al cuscino è dipinta una lunga iscrizione metrica che accenna alla vita della “Gemma dell’Umbria”, al suo amore per la Croce e agli altri episodi della sua vita di monaca santa; l’epitaffio è in antico umbro ed è di grande interesse quindi per conoscere il profilo spirituale di santa Rita.
Bisogna dire che il corpo rimasto prodigiosamente incorrotto e a differenza di quello di altri santi, non si è incartapecorito, appare come una persona morta da poco e non presenta sulla fronte la famosa piaga della spina, che si rimarginò inspiegabilmente dopo la morte.
Tutto ciò è documentato dalle relazioni mediche effettuate durante il processo per la beatificazione, avvenuta nel 1627 con papa Urbano VIII; il culto proseguì ininterrotto per la santa chiamata “la Rosa di Roccaporena”; il 24 maggio 1900 papa Leone XIII la canonizzò solennemente.
Al suo nome vennero intitolate tante iniziative assistenziali, monasteri, chiese in tutto il mondo; è sorta anche una pia unione denominata “Opera di santa Rita” preposta al culto della santa, alla sua conoscenza, ai continui pellegrinaggi e fra le tante sue realizzazioni effettuate, la cappella della sua casa, la cappella del “Sacro Scoglio” dove pregava, il santuario di Roccaporena, l’Orfanotrofio, la Casa del Pellegrino.
Il cuore del culto comunque resta il Santuario ed il monastero di Cascia, che con Assisi, Norcia, Cortona, costituiscono le culle della grande santità umbra.

Autore: Antonio Borrelli

 «Santa Rita da Cascia parla a tutti i cuori, oggi anche attraverso i social»

Riccardo Maccioni sabato 20 maggio 2023  AVVENIRE

Parla suor Maria Rosa Bernardinis, madre priora del monastero Santa Rita da Cascia: «Pace, amore, condivisione, dialogo, servizio. I valori che ha lasciato sono universali, senza tempo»
Un gruppo di persone davanti all'urna del corpo di santa Rita

Un gruppo di persone davanti all'urna del corpo di santa Rita

Lunedì 22 maggio il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi a presiede la Messa nella festa di Santa Rita. Accanto al porporato l’arcivescovo di Spoleto-Norcia monsignor Renato Boccardo e padre Alejandro Moral Antòn, priore Generale dell’Ordine di Sant’Agostino. L’appuntamento è alle 10.30 (con diretta streaming) nella Sala della pace di Cascia. Al termine dell’Eucaristia, la processione della statua di santa Rita alla volta di Cascia, riprende il suo percorso per raggiungere il sagrato della Basilica di Santa Rita dove alle 12.30 padre Giustino Casciano provinciale degli Agostiniani in Italia recita la Supplica alla santa e Semeraro impartisce la benedizione delle rose. Alle 18, in Basilica, la celebrazione eucaristica per i benefattori del santuario cantata dalle monache agostiniane.

Ci sono testimoni della fede che pur restando modelli cui ispirarsi, sembrano ancorati al loro tempo. Altri invece che anche a distanza di secoli mantengono intatta la loro attualità. Al secondo gruppo appartiene sicuramente santa Rita che si festeggia il 22 maggio, tutt’oggi figura molto moderna. Sia per la complessità della sua storia che la vide sposa, madre, vedova e monaca, sia per la capacità delle sue figlie spirituali di trasmetterne il messaggio, oggi anche attraverso il linguaggio dei social.

«Le donne di oggi – disse papa Francesco durante l’udienza generale del 22 maggio 2019 – possano manifestare il medesimo entusiasmo di vita e, al contempo, essere capaci dello stesso amore che ella riservò a tutti incondizionatamente». Nata a Roccaporena in Umbria nel 1381, la futura santa desiderava consacrarsi interamente a Dio ma fu destinata al matrimonio con un giovane, coinvolto in faide politiche e familiari che riuscì a pacificare e da cui ebbe due figli. La violenza però ebbe il sopravvento e il suo sposo venne ucciso. Morti purtroppo anche i due figli di malattia, Rita che nel frattempo aveva convinto i familiari del marito a non vendicarsi, entrò nel monastero di Santa Maria Maddalena in Cascia. Morì il 22 maggio 1457 (o 1447) dl termine di un’esistenza contrassegnata dalla costante presenza del soprannaturale.

 

«La popolarità e l’attualità di Rita – spiega madre Maria Rosa Bernardinis, priora del monastero Santa Rita da Cascia – sono impresse nella sua storia, semplice ma straordinaria, perché pur non avendo lasciato nulla di scritto, i suoi insegnamenti arrivano forti e preziosi, grazie all’esempio concreto della sua vita. I valori che ha lasciato non hanno tempo e non si legano a una sola confessione religiosa, sono universali. Infatti, sono stati i devoti che, fin dalla morte, l’hanno eletta santa, prima della Chiesa. Pace, carità, amore, dialogo, condivisione, servizio al prossimo: per Rita non sono state parole ma missioni di vita. Missioni che gli eventi che viviamo, tra pandemia, crisi, guerre, popoli disperati in cerca di un futuro, ci confermano essere più che mai attuali e urgenti».

Quest’anno, durante la Novena, avete proposto il Rosario anche via social, qual è stata la risposta?
La nostra volontà era quella di aprire le porte della clausura, accogliendo chi ha valuto unire la sua voce alla nostra nel coro, anima della nostra comunità. Moltissimi hanno accolto il nostro invito, creando una comunione speciale per preparare lo spirito ad accogliere la grazia della festa di Santa Rita. I tanti (quasi 700mila su Facebook e 30mila su Instagram e Youtube) che da tutto il mondo seguono i nostri social, da tempo ci chiedevano una partecipazione più ampia e li abbiamo trovati molto coinvolti nelle dirette. I social sono un canale aggiuntivo tramite il quale permettiamo a chi non può essere qui, per la festa e non solo, di percepire vicinanza, essere famiglia, vivere la spiritualità e agire per portare l’esempio di Rita nel quotidiano.


«Citando il nostro rosario, Fiorello ci ha sorpreso e l’abbiamo ringraziato
I social sono un canale aggiuntivo perché anche chi si trova lontano si senta vicino»

Ha parlato di voi anche Fiorello, rendendo molto popolare, si è detto, la vostra iniziativa.
Tutte le occasioni di visibilità, dalla stampa all’online, hanno contribuito a portare la notizia del nostro rosario alle persone. Per questo ringraziamo tutti, così come abbiamo voluto far arrivare il nostro grazie a Fiorello, che ci ha sorpreso con la sua battuta. Non ci aspettavamo che un programma d’intrattenimento come “Viva Rai 2” parlasse di noi e ci ha incuriosito questo interesse. Ciò che resta prioritario è sempre il servizio che desideriamo compiere verso chi guarda a Rita, ma è lontano.


Insieme alla preghiera avete proposto anche il sostegno a un ospedale nigeriano. C’è poi un forte legame con la Terra Santa.

Spiritualità e solidarietà camminano insieme e si sostengono a vicenda. Ecco perché abbiamo una missione per la festa di Santa Rita, intrapresa dalla Fondazione Santa Rita da Cascia, ente del terzo settore di cui sono presidente, nato per volere del monastero nel 2012 per sostenere progetti di solidarietà e mettere in pratica l’aiuto al prossimo. Quando la devozione è partecipazione è il motto, che vuol rendere concreta oggi la carità ritiana. Si inserisce in quest’ottica la raccolta fondi lanciata dalla Fondazione per la ricostruzione dell’Ospedale “St. Virgilius Memorial” di Namu, in Nigeria, fondato e gestito dalla Congregazione delle Sorelle di Nostra Signora di Fatima. Più di 35.000 abitanti, sparsi in oltre 35 insediamenti agricoli, tra cui tantissime famiglie con bambini, aspettano di veder garantito il diritto alla salute e a loro vogliamo dare una risposta concreta. Chiunque ci aiuterà a farlo, sostenendo il progetto, riceverà a casa come segno di ringraziamento, il rosario bracciale in madre perla e legno d’ulivo, benedetto all’interno della Grotta della Natività, realizzato a Betlemme dal centro Piccirillo, gestito dai francescani della Custodia di Terra Santa, che offrono lavoro a famiglie povere altrimenti inoccupate. Per cui è un modo per aiutare anche loro.
Per informazioni si può visitare il sito festadisantarita.org


Lei come ha conosciuto santa Rita?
Mia mamma era devota, quindi grazie a lei ho incontrato la santa e questo ha sicuramente lasciato un segno in me, rimasto però nascosto negli anni. Poi, quando ho capito che il Signore mi chiamava alla vita consacrata, è tornata alla mente la devozione di mia madre, perciò ho scelto Cascia. Oggi, sono qui da 41 anni e mi sento destinata a questo luogo: col tempo il mio legame con Rita è cresciuto e ora è più forte che mai. Ammiro il suo modo di agire e parlo al presente perché Rita è viva e continua a darci i segni della sua presenza, tramite migliaia di persone.


La devozione deve camminare insieme alla solidarietà: per questo abbiamo lanciato una raccolta
per l’ospedale St.Virgilius memorial di Namu in Nigeria

Anche quest’anno avete attribuito il riconoscimento internazionale Santa Rita. Che modello rappresenta santa Rita per le donne di oggi?
Ogni anno scegliamo delle donne che con la loro vita, dimostrano che è possibile oggi agire secondo quei valori che Santa Rita ha vissuto. In questo 2023, dopo la pandemia che ci ha allontanati e la logica dell’odio esplosa con la guerra in Ucraina, attraverso la scelta delle donne abbiamo voluto lanciare un messaggio sulla priorità di metterci al servizio del prossimo, cominciando dai bisogni di chi è alla porta accanto, fino ad arrivare a chi soffre per le grandi fragilità della società. Santa Rita è stata una donna che ha realizzato con la sua vita il disegno d’amore di Dio, attraverso l’aiuto al prossimo. Il modello a cui lei chiama, donne e uomini, è questo: una vita aperta all’altro, coraggiosa nell’amore e nella carità, disponibile al dialogo e votata a costruire la pace.


 

Conosciuta come “la Santa dei casi impossibili e disperati”, Margherita Lotti, questo è il suo vero nome, nasce a Roccaporena di Cascia (Perugia) nel 1381 circa. Ancora in fasce, la piccola Rita viene attorniata da uno sciame d’api che, invece di pungerla, depongono il miele nella sua boccuccia, un segno della sua futura santità. Ubbidiente, per volere dei genitori anziani, Antonio e Amata Ferri, sposa il nobile Paolo Mancini, rinunciando al desiderio di farsi suora. Il marito è dispotico e collerico, ma Rita, con la sua perseverante fede, alla violenza risponde con la dolcezza e riesce così a trasformare il carattere di Paolo, rendendolo più buono.
Nascono due gemelli che Rita cresce educandoli all’amore verso il prossimo. Il marito Paolo viene ucciso da una famiglia nemica che la santa perdona. Non invece i suoi figli che meditano vendetta. Rita disperata, innanzi alla statua di Gesù, chiede che i suoi figli non si macchino di un delitto. I figli si ammalano e muoiono. Rita, in cerca di conforto, chiede di entrare in convento a Cascia. La sua fede è conosciuta, ma alcune suore temono ritorsioni e Rita viene respinta. La santa decide di incontrare gli assassini del marito e riesce a riportare la pace a Cascia.
Sempre desiderando di essere accolta in convento, Rita compie il suo primo miracolo entrando, quando tutte le porte sono chiuse, nella chiesa del convento. Quando al mattino le suore la trovano in preghiera credono al miracolo e la accolgono nel monastero. Rita vive il resto della sua vita pregando, digiunando, svolgendo lavori umili in cucina e nell’orto, operando guarigioni miracolose. Un giorno la madre superiora le chiede, in segno di obbedienza, di innaffiare una pianta di vite completamente secca. Rita lo fa tutti i giorni, con umiltà, e la pianta, prodigiosamente, riprende a vivere rigogliosa. Un’altra volta, mentre prega davanti al crocifisso, dalla corona di spine del Signore (posata sulla testa di Gesù dai soldati romani per scherno) si stacca una spina che si conficca sulla fronte della santa e vi rimane fino alla sua morte, avvenuta a Cascia il 22 maggio 1457.
Santa Rita diventa popolarissima. Chi è disperato si rivolge a lei: mamme, spose infelici, famiglie, emarginati. Invocata pure dalle donne desiderose di avere figli e contro le calamità naturali e il vaiolo, viene chiamata “la Santa delle rose” perché in vita le fa fiorire miracolosamente in pieno inverno.
 


Autore: Mariella Lentini