25 luglio 2008 ore 18.39
LA FORMAZIONE DEL RESPONSABILE ALL'ECCLESIALITA'
25 luglio 2008
ore 18.39

La formazione del Responsabile ALL'ECCLESIALITÀ
Equipe diocesana – Ascoli Piceno

Quale ecclesialità per l'AC di oggi?


Linee Generali
La dimensione ecclesiale dell'esperienza di fede appartiene all'integrità e maturità di ogni autentico cammino di formazione.
Il Responsabile pertanto non può non avere e non coltivare il "sensus ecclesiae".
Ciò implica anzitutto un processo di identificazione affettiva ed effettiva, l'interiorizzazione di un senso di appartenenza alla comunità ecclesiale, in quanto mistero e in quanto istituzione. Il responsabile coltiva in particolare legami di fraternità con tutti gli associati, possiede in termini vivi il senso associativo, vive il suo servizio in profonda appartenenza e comunione con tutta la comunità.
Per questo:
si sente a servizio della comunità cristiana e ad essa mandato;
aiuta a comprendere, ad accogliere e a promuovere la corretta presenza dell'AC;
stimola, nel progetto espresso dalla Chiesa locale, atteggiamenti di accoglienza e servizio facendosi interpreti e portatore delle domande e dei doni delle persone che serve;
promuove ed espande la comunione ecclesiale a misura del Regno.
A lui si richiede:
la conoscenza della realtà ecclesiale, della sua struttura articolata e dinamica (carismi e ministeri);
la conoscenza delle linee essenziali dei progetti pastorali della Chiesa ai vari livelli;
la conoscenza delle linee essenziali dei progetti associativi;
una partecipazione responsabile ai momenti di comunione ecclesiale;
la capacità di progettare itinerari a partire dai progetti della propria Chiesa dell'Associazione.
Obiettivo:
Abilitare e introdurre ad un'autentica esperienza ecclesiale connotata associativamente.
Metodo:
L'incontro formativo di équipe, come luogo di educazione all'accoglienza alla comunicazione e alla comunione.
Di volta in volta sarà presente un amico che ci aiuterà a riflettere sul tema con cui scambieremo le idee suscitate dallo studio personale, che poi avrà il compito di tirare le conclusioni e di indicarci eventuali piste di lavoro.
Strumenti:
statuto ACI - Progetto ACI - Documenti magistero sulla natura e la missione della Chiesa – progetti, linee pastorali;
Materiale in appendice per lo studio personale.


Materiale per lo studio personale
La Chiesa, corpo mistico di Cristo
Il Figlio di Dio, unendo a sé la natura umana e vincendo la morte con la sua morte e resurrezione, ha redento l'uomo e l'ha trasformato in una nuova creatura (cfr. Gal. 6,15; 2Cor. 5,17). Comunicando infatti il suo Spirito, costituisce, misticamente come suo corpo i suoi fratelli, che raccoglie da tutte le genti. In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti che, attraverso i sacramenti si uniscono in modo arcano e reale a lui sofferente e glorioso. Per mezzo del battesimo siamo resi conformi a Cristo: «Infatti noi tutti fummo battezzati in un solo Spirito per costituire un solo corpo» (1Cor. 12,13). Con questo sacro rito viene rappresentata e prodotta la nostra unione alla morte e resurrezione di Cristo: «fummo dunque sepolti con lui per l'immersione a figura della morte»; ma se «fummo innestati a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una resurrezione simile alla sua» (Rm. 6,4-5). Partecipando realmente del corpo del Signore nella frazione del pane eucaristico, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi: «Perché c'è un solo pane, noi tutti non formiamo che un solo corpo, partecipando noi tutti di uno stesso pane» (1Cor. 10,17). Così noi tutti diventiamo membri di quel corpo (cfr. 1Cor. 12,27), «e siamo membri gli uni degli altri» (Rm. 12,5).
Ma come tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, non formano che un solo corpo, così i fedeli in Cristo (cfr. 1Cor. 12,12). Anche nella struttura del corpo, mistico di Cristo vige una diversità di membri e di offici. Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei ministeri (cfr. 1Cor. 12,1-11). Fra questi doni eccelle quello degli apostoli, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici (cfr. 1Cor. 14). Lo Spirito, unificando il corpo con la sua virtù e con l'interna connessione dei membri, produce e stimola la carità tra i fedeli. E quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte altre membra; se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra (cfr.1Cor. 12,26).
Capo di questo corpo è Cristo. Egli è l'immagine dell'invisibile Dio, e in lui tutto è stato creato. Egli è anteriore a tutti, e tutte le cose sussistono in lui. È il capo del corpo, che è la Chiesa. Con la grandezza della sua potenza domina sulle cose celesti e terrestri, e con la sua perfezione e azione sovrana riempie delle ricchezze della sua gloria tutto il suo corpo (cfr. Ef. 1, 18-23).
Tutti i membri devono a lui conformarsi, fino a che Cristo non sia in essi formato (cfr. Gal. 4,19). Per ciò siamo collegati ai misteri della sua vita, resi conformi a lui, morti e resuscitati con lui, finché con lui regneremo (cfr. Fil. 3,21; 2Tm. 2,11; Ef. 2,6; Col. 2,12, ecc.). Ancora peregrinanti in terra, mentre seguiamo le sue orme nella tribolazione e nella persecuzione, veniamo associati alle sue sofferenze, come il corpo al capo e soffriamo con lui per essere con lui glorificati (cfr. Rm. 8,17).
Da lui «tutto il corpo ben fornito e ben compaginato, per mezzo di giunture e di legamenti, riceve l'aumento voluto da Dio, (Col 2,19). Nel suo corpo, che è la Chiesa, egli continuamente dispensa i doni dei ministeri, con i quali, per virtù sua, ci aiutiamo vicendevolmente a salvarci e, operando nella carità conforme a verità, andiamo in ogni modo crescendo verso colui, che è il nostro capo (cfr. Ef. 5,11-16).
Perché poi ci rinnovassimo continuamente in lui (cfr. Ef. 4,23), ci ha resi partecipi; da a tutto il corpo vita, unità e moto, così che i santi Padri poterono paragonare la sua funzione con quella che il principio vitale, cioè l'anima, esercita nel corpo umano. Cristo inoltre ama la Chiesa come sua sposa, facendosi modello del marito che ama la moglie come il proprio corpo (cfr. Ef. 5,25-28); la Chiesa poi è soggetta al suo capo (ivi 23-24). E poiché «in lui abita congiunta all'umanità la pienezza della divinità» (Col. 2,9), egli riempie dei suoi doni la Chiesa, la quale è il suo corpo e la sua pienezza (cfr. Ef. 1, 22-23), affinché essa sia protesa e pervenga alla pienezza totale di Dio (cfr. Ef. 3,19).
Liberamente tratto Dalla Lumen Gentiun n°7

43. L'aiuto che la Chiesa intende dare all'attività umana per mezzo dei cristiani Il Concilio esorta i cristiani, cittadini dell'una e dell'altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno. A loro volta non sono meno in errore coloro che pensano di potersi immergere talmente nelle attività terrene, come se queste fossero del tutto estranee alla vita religiosa, la quale consisterebbe, secondo loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali. La dissociazione, che si constata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo. Contro questo scandalo già nell'Antico Testamento elevavano con veemenza i loro rimproveri i profeti, e ancora di più Gesù Cristo stesso, nel Nuovo Testamento, minacciava gravi castighi. Non si crei perciò un'opposizione artificiale tra le attività professionali e sociali da una parte, e la vita religiosa dall'altra. Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna. Gioiscano piuttosto i cristiani, seguendo l'esempio di Cristo che fu un artigiano, di poter esplicare tutte le loro attività terrene unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio.
Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e ne assicurino la realizzazione. Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori fossero sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del magistero. Per lo più sarà la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe circostanze, ad una determinata soluzione. Tuttavia altri fedeli altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come succede abbastanza spesso e legittimamente. Ché se le soluzioni proposte da un lato o dall'altro, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della Chiesa. Invece cerchino sempre di illuminarsi vicendevolmente attraverso un dialogo sincero, mantenendo sempre la mutua carità e avendo cura in primo luogo del bene comune. I laici, che hanno responsabilità attive dentro tutta la vita della Chiesa, non solo sono tenuti a procurare l'animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma sono chiamati anche ad essere testimoni di Cristo in ogni circostanza e anche in mezzo alla comunità umana. I Vescovi, poi, cui è affidato l'incarico di reggere la Chiesa di Dio, devono insieme con i loro preti predicare il messaggio di Cristo in modo tale che tutte le attività terrene dei fedeli siano pervase alla luce del Vangelo. Inoltre i pastori tutti ricordino che essi con la loro quotidiana condotta e con la loro sollecitudine, mostrano al mondo un volto della Chiesa, in base al quale gli uomini si fanno un giudizio sulla efficacia e sulla verità del messaggio cristiano. Con la vita e con la parola, uniti ai religiosi e ai loro fedeli, dimostrino che la Chiesa, già con la sola sua presenza, con tutti i doni che contiene, è sorgente inesauribile di quelle forze di cui ha assoluto bisogno il mondo moderno. Con lo studio assiduo si rendano capaci di assumere la propria responsabilità nel dialogo col mondo e con gli uomini di qualsiasi opinione. Soprattutto però abbiano in mente le parole di questo Concilio: «Siccome oggi l'umanità va sempre più organizzandosi in unità civile, economica e sociale, è tanto più necessario che i sacerdoti, unendo sforzi e mezzi sotto la guida dei vescovi e del sommo Pontefice, eliminino ogni motivo di dispersione, affinché tutto il genere umano sia ricondotto all'unità della famiglia di Dio».
Benché la Chiesa, per la virtù dello Spirito Santo, sia rimasta la sposa fedele del suo Signore e non abbia mai cessato di essere segno di salvezza nel mondo, essa tuttavia non ignora affatto che tra i suoi membri, sia chierici che laici, nel corso della sua lunga storia, non sono mancati di quelli che non furono fedeli allo Spirito di Dio. E anche ai nostri giorni sa bene la Chiesa quanto distanti siano tra loro il messaggio ch'essa reca e l'umana debolezza di coloro cui è affidato il Vangelo. Qualunque sia il giudizio che la storia da di tali difetti, noi dobbiamo esserne consapevoli e combatterli con forza, perché non ne abbia danno la diffusione del Vangelo. Così pure la Chiesa sa bene quanto essa debba continuamente maturare imparando dall'esperienza di secoli, nel modo di realizzare i suoi rapporti col mondo. Guidata dallo Spirito Santo, la madre Chiesa non si stancherà di «esortare i suoi figli a purificarsi e a rinnovarsi, perché il segno di Cristo risplenda ancor più chiaramente sul volto della Chiesa».
Dalla Gaudium et Spes n°43

Una comunione organica: diversità e complementarietà
20. La comunione ecclesiale si configura, più precisamente, come una comunione «organica», analoga a quella di un corpo vivo e operante: essa, infatti, è caratterizzata dalla compresenza della diversità e della complementarietà delle vocazioni e condizioni di vita, dei ministeri, dei carismi e delle responsabilità. Grazie a questa diversità e complementarietà ogni fedele laico si trova in relazione con tutto il corpo e a esso offre il proprio contributo.
Sulla comunione organica del corpo mistico di Cristo insiste in modo tutto particolare l'apostolo Paolo, il cui ricco insegnamento possiamo riascoltare nella sintesi tracciata dal Concilio: Gesù Cristo - leggiamo nella Costituzione Lumen gentium - «comunicando il suo Spirito, costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti. In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti (...). Come tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, formano un solo corpo, cosi i fedeli in Cristo (1 Cor. 12,12). Anche nell'edificazione del corpo di Cristo vige la diversità delle membra e delle funzioni. Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei servizi (1 Cor. 12,1-11). Fra questi doni viene al primo posto la grazia degli Apostoli alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici (1 Cor. 14). Ed è ancora lo Spirito stesso che, con la sua forza e mediante l'intima connessione delle membra, produce e stimola la carità tra i fedeli. E quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra (1 Cor. 12,26) ».
E sempre l'unico e identico Spirito il principio dinamico della varietà e dell'unità nella e della chiesa. Leggiamo di nuovo nella Costituzione Lumen gentium: «Perché poi ci rinnovassimo continuamente in Lui (Cristo) (Ef. 4,23), ci ha dato del suo Spirito, il quale, unico e identico nel Capo e nelle membra, da a tutto il corpo la vita, l'unità e il movimento, così che i santi Padri poterono paragonare la sua funzione con quella che esercita il principio vitale, cioè l'anima, nel corpo umano». E in un altro testo, particolarmente denso e prezioso per cogliere l'«organicità» propria della comunione ecclesiale anche nel suo aspetto di crescita incessante verso la perfetta comunione, il Concilio scrive: «Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (1 Cor. 3,16; 6,19) e in essi prega e rende testimonianza dell'adozione filiale (Gal. 4,6; Rom. 8,15-16,26). Egli guida la chiesa verso tutta intera la verità (Gv. 16,13), la unifica nella comunione e nel servizio, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (Ef. 4,11-12; 1 Cor. 12,4; Gal 5,22). Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione con il suo Sposo. Poiché lo Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesù: Vieni! (Ap. 22,17)».
La comunione ecclesiale è, dunque, un dono, un gran dono dello Spirito Santo, che i fedeli laici sono chiamati ad accogliere con gratitudine e, nello stesso tempo, a vivere con profondo senso di responsabilità. Ciò si attua concretamente mediante la loro partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa, al cui servizio i fedeli laici pongono i loro diversi e complementari ministeri e carismi. Il fedele laico «non può mai chiudersi in se stesso, isolandosi spiritualmente dalla comunità, ma deve vivere in un continuo scambio con gli altri, con un vivo senso di fraternità, nella gioia di una uguale dignità e nell'impegno di far fruttificare insieme l'immenso tesoro ricevuto in eredità. Lo Spirito del Signore dona a lui, come agli altri, molteplici carismi, lo invita a differenti ministeri e incarichi, gli ricorda, come anche lo ricorda agli altri in rapporto con lui, che tutto ciò che lo distingue non è un di più di dignità, ma una speciale e complementare abilitazione al servizio (..,). Così, i carismi, i ministeri, gli incarichi ed i servizi del Fedele Laico esistono nella comunione e per la comunione. Sono ricchezze complementari a favore di tutti, sotto la saggia guida dei Pastori».
Christifidelis laici n°20

Rifare con l'amore il tessuto della comunità ecclesiale
Il primo ambito, raccolto sotto il profilo di «Rifare con l'amore il tessuto della comunità ecclesiale», offre, innanzi tutto, alla luce del «vangelo della carità», il criterio di fondo di un'autentica vita ecclesiale. Essa si attua costitutivamente in una duplice tensione, che va alla radice di tante difficoltà e incompiutezze della vita ecclesiale nel nostro tempo per risolverle in positivo: in primo luogo, l'autentica e generosa ricerca della verità di Cristo (proposta e vissuta dalla e nella Chiesa) come unico luogo di incontro nella carità - «riconciliazione» - dei credenti; e, in secondo luogo, l'altrettanto continua e generosa ricerca della carità come il modo concreto in cui la verità di Cristo si fa storia (n. 27). Questo criterio ha il significato di liberare la coscienza e la prassi del cristiano dal pregiudizio del soggettivismo come criterio intellettuale e pratico: solo un'autentica apertura alla verità diventa autentica accettazione e condivisione del e con l'altro nella Chiesa; mentre solo un'accettazione autentica dell'altro diventa verifica pratica della verità di Cristo. Conseguenza di questo criterio è il richiamo alla responsabilità per la verità cristiana da un lato, e, dall'altro, il richiamo alla consapevolezza che non vivere la carità è non esser fedeli alla verità di Cristo.
Importante anche la sottolineatura della pastorale ordinaria come luogo di attuazione prima del compito della «nuova evangelizzazione». Gli obiettivi che vengono proposti sono semplici ma importanti: «1) far maturare delle comunità parrocchiali che abbiano la consapevolezza di essere, in ciascuno dei loro membri e nella loro concorde unione, soggetto di una catechesi permanente e integrale, di una celebrazione liturgica viva e partecipata, di una testimonianza di servizio viva e operosa; 2) favorire un'osmosi sempre più profonda tra queste tre essenziali dimensioni del mistero e della missione della Chiesa» (n. 28). Se volessimo riassumere in una parola questi due obiettivi, potremmo dire che si tratta di far crescere dei cristiani e delle comunità mature, che abbiano chiara e viva la consapevolezza del primato e dell'unità della grazia di Cristo, che appunto, in quanto tale, è la radice di tutta la vita della Chiesa, nella triplice dimensione di catechesi, liturgia e diaconia; e che solo in un armonico ed equilibrato sviluppo di queste dimensioni si manifesta la Chiesa come soggetto unitario, segno e strumento della grazia di Cristo efficace nella storia.
Infine, anche il richiamo a una pastorale unitaria (n. 29a), che, nella Chiesa locale, abbia il suo fulcro e la sua guida nel vescovo, obbedisce allo stesso criterio: quello di valorizzare e far convergere nell'edificazione della comunità e nella missione evangelizzatrice tutte le forze, le vocazioni e i carismi (antichi e nuovi) presenti, con grande varietà ed anche incisività ed efficacia evangelica, nella vita delle nostre Chiese (n. 29bc). Il non valorizzare le forze suscitate dallo Spirito, o, per converso, il non convergere di esse attorno al vescovo, sarebbe contravvenire al criterio ecclesiologico - pastorale della verità e della carità di Cristo.
Da Evangelizzazione e testimonianza della carità.
Genesi, fondamenti teologici, linee pastorali, Piero Coda.


Il senso «dell’ecclesialità»
11. Tutte le aggregazioni dei fedeli laici, pertanto, devono guardare al mistero della chiesa per tracciare e ritrovare i propri autentici connotati. Avendo nella chiesa di Cristo il luogo proprio di nascita, di crescita e di azione, esse devono esprimerne le note più caratteristiche. Tutte le realtà aggregative sono chiamate a riflettere in se stesse, come in uno specchio, il mistero di quell'amore di Cristo da cui la chiesa è nata e nasce di continuo. Dalla risposta a questa vocazione deriva la verità del loro essere realtà autenticamente ecclesiali.
12. Come è stato già affermato in un contesto diverso ma analogo, «la qualifica "ecclesiale" non è mai da dare per scontata. Non è un'etichetta; non è un titolo acquisito; non è una garanzia preventiva di autenticità» «Ecclesialità», infatti, è termine esigente: significa sapere di appartenere alla chiesa e, più ancora, sapere di «essere chiesa» e avere il «senso della chiesa». Per ogni aggregazione dei fedeli l'ecclesialità è data dal suo riferimento alla vita concreta della chiesa: compete a essa in quanto e per quanto ciascuna è espressione della chiesa di Cristo, vive di essa, in essa e per essa.
13. Sapere di «essere chiesa», poi, è ben diverso dal ritenere di «essere la chiesa». Il mistero della chiesa, infatti, è qualcosa di ben più grande dei singoli cristiani e di ogni aggregazione. Esso è talmente ricco da esprimersi in forme molteplici e diverse senza che alcuna di queste, e neppure tutte insieme, possano esaurirlo.
E assolutamente da evitare l'errore di chi «assolutizza la propria esperienza, favorendo in tal modo, da una parte, una lettura in chiave riduttiva del messaggio cristiano, e, dall'altra, il rifiuto di un sano pluralismo di forme associative».
14. Un'aggregazione è ecclesiale, anzitutto, perché alcuni membri del popolo di Dio liberamente vi aderiscono e vi si impegnano in forza della loro comune partecipazione al sacerdozio di Cristo, ricevuta col battesimo.
È ecclesiale, inoltre, perché non è mai ridotta a ragioni formali, funzionali o efficientiste, ma si costituisce ultimamente in forza delle sollecitazioni dello Spirito di Dio che attira e aiuta i fedeli a vivere con più consapevolezza e responsabilità il loro battesimo.
È ecclesiale, infine, perché deriva da un dono che è rivolto ai singoli fedeli ma per il «bene comune» della chiesa, arricchita di doni gerarchici e carismatici con i quali l'unico Spirito la costituisce e la rinnova.

I criteri di ecclesialità
15. In questo contesto sono da leggersi i criteri di discernimento e di riconoscimento delle aggregazioni, detti pure «criteri di ecclesialità». L'opportunità di una loro determinazione, in ordine a sicuri criteri di giudizio e di comportamento, si fece sentire nel sinodo dei vescovi del 1987. Giovanni Paolo II ne ha trattato ampiamente nell'esortazione apostolica post - sinodale Christifideles laici.
16. Ci riferiamo a questa esortazione, soprattutto per illustrare la profonda coerenza dei criteri di ecclesialità con la dottrina sulla chiesa come mistero di comunione missionaria: in realtà, sono da considerarsi non come criteri, per così dire, «esterni» all'ecclesialità delle aggregazioni, ma «interni», perché è proprio nella loro attuazione che l'ecclesialità di ciascuna si rende concretamente visibile.
Nella prospettiva della chiesa quale mistero di comunione missionaria da cui sono dedotti, i criteri di ecclesialità favoriscono la libertà associativa dei fedeli, garantiscono e sostengono la vita di comunione nella chiesa e la partecipazione alla sua missione.
Questi criteri, assunti nella loro singolarità ma anche nella loro unità e reciproca complementarità, valgono sia per i fedeli che per i pastori. Per i fedeli, come orientamento per costituire e attuare un'aggregazione che sia sempre, quanto ai fini, alla struttura e all'attività «a immagine della chiesa». Per i pastori, per l'esercizio del loro ministero, che è quello di «accompagnare l'opera di discernimento con la guida e soprattutto con l'incoraggiamento per una crescita delle aggregazioni dei fedeli laici nella comunione e nella missione della chiesa».
17.Cinque sono i criteri indicati nell'esortazione Christifideles laici:
1, «Il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità, manifestata "nei frutti di grazia che lo Spirito produce nei fedeli" come crescita verso la pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità». Da ciò deriva che ogni unione, mentre favorisce nei suoi membri l'unità tra la vita e la fede, deve essere essa stessa strumento di santità nella chiesa.
2, «La responsabilità di confessare la fede cattolica, accogliendo e proclamando la verità su Cristo, sulla chiesa e sull'uomo in obbedienza al magistero della chiesa, che autenticamente la interpreta». Ne scaturisce per ogni aggregazione l'impegno> a essere luogo di annuncio della. fede e di educazione a essa nel suo integrale contenuto.
3, «La testimonianza di una comunione salda e convinta in relazione filiale con il papa, perpetuo e visibile centro dell'unità della chiesa universale, e con il vescovo "principio visibile e fondamento dell'unità della chiesa particolare". Tale comunione «è chiamata ad esprimersi nella leale disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali». La Comunione ecclesiale esige pure il riconoscimento della legittima pluralità delle forme aggregative e la disponibilità alla reciproca collaborazione.
4, «La conformità e la partecipazione al fine apostolico della chiesa, ossia l'evangelizzazione, la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo che riescano a permeare di spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti». Da ciò prende avvio quello slancio missionario che rende una realtà aggregativa sempre più soggetto di una «nuova evangelizzazione».
5, «L'impegno di una presenza nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale dell'uomo». A questo criterio è collegato il dovere, proprio e particolare delle aggregazioni laicali, di diventare «correnti vive di partecipazione e di solidarietà per costruire condizioni più giuste e fraterne all'interno della società".

I criteri di ecclesialità e la ragione ecclesiologica.

18. Come si vede, questi cinque criteri, nella loro singolarità e unità, fanno riferimento alla chiesa quale mistero di comunione missionaria.
Dall'essere la chiesa mistero deriva il primo criterio: il primato da riconoscere alla vocazione alla santità. Questa affonda le sue radici nel sacramento del battesimo e nella sua realizzazione si rivela in pienezza la dignità di ogni cristiano.
Dall'essere la chiesa mistero di comunione derivano gli altri due criteri, che riguardano la responsabilità di confessare la fede cattolica e di testimoniare una comunione salda e convinta in relazione filiale con il papa e con il vescovo. Un modello di vita di comunione nella chiesa c'è offerto dalla prima comunità, quella di Gerusalemme, nella quale i credenti «erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At. 2,42).
Dall'essere la chiesa mistero comunione missionaria deriva il quarto e il quinto criterio circa la conformità e la partecipazione al fine apostolico della chiesa e l'impegno di una presenza nella società umana.
19. Questi cinque criteri di ecclesialità sono tutti essenziali e necessari. Nulla impedisce, però, che altri se ne aggiungano, di carattere più particolare, in più esplicita corrispondenza alle situazioni concrete. È pure possibile che, in rapporto alla specifica tipologia di una determinata aggregazione, alcuni criteri siano evidenziati in modo particolare.
I cinque criteri di ecclesialità, tuttavia, valgono nel loro insieme per qualsiasi forma di aggregazione, qualunque siano il loro legame giuridico con l'autorità ecclesiastica e la responsabilità che questa assume nei loro riguardi.

Vari tipi di rapporto con la gerarchia. L'Azione cattolica
L'apostolato dei laici, infatti, ammette - come dice il Concilio - «vari tipi di rapporto con la gerarchia secondo le diverse forme e oggetti dell'apostolato stesso», e «l'autorità ecclesiastica, per le esigenze del bene comune della chiesa, fra le associazioni e iniziative apostoliche aventi un fine immediatamente spirituale, può inoltre scegliere in modo particolare e promuoverne alcune per le quali assume una speciale responsabilità».
È questo il caso dei «vari movimenti e associazioni di Azione cattolica, in cui i laici si associano liberamente in forma organizzata e stabile, sotto la spinta dello Spirito Santo, nella comunione con il vescovo e con i sacerdoti, per poter servire, nel modo proprio della loro vocazione, con un particolare metodo, all'incremento di tutta la comunità cristiana, ai progetti
pastorali e all'animazione evangelica di tutti gli ambiti di vita, con fedeltà e operosità».
Il Concilio Vaticano II, che ne ha delineato le note caratteristiche, ha annoverato 1'Azione cattolica «tra i vari tipi di ministero», che sono «necessari» per lo sviluppo della comunità cristiana, e che perciò «tutti debbono diligentemente promuovere e coltivare». .
Essa, infatti, è chiamata a realizzare «una singolare forma di ministerialità laicale», fondata su «una vocazione speciale» e sul «particolare carisma» di diretta collaborazione con la gerarchia, della quale «accoglie con aperta disponibilità la guida» e alla quale «offre con responsabile iniziativa il proprio organico e sistematico contributo per l'unica pastorale della chiesa», «a servizio dell'intera comunità cristiana e del paese. A motivo di «questa collaborazione dei laici con l'apostolato gerarchico della chiesa, essa ha un posto non storicamente contingente, ma teologicamente motivato nella struttura ecclesiale».
Per tali ragioni e per la consolidata presenza apostolica dell'Azione Cattolica italiana nei nostro paese col suo ricco patrimonio ecclesiastico e culturale, i vescovi italiani ne riaffermano la singolare validità e ne sostengono con speciale sollecitudine l'impegno, rinnovando l'esortazione che sacerdoti e laici armonizzino le loro vedute circa l'Azione cattolica a queste prospettive, superando pregiudizi e disattenzioni, e confidando che una più efficace adesione alle medesime prospettive gioverà alla stessa Azione cattolica per realizzare il ministero che la qualifica.
Dalle Aggregazioni laicali nella Chiesa, CEI, 15-20

Le aggregazioni di fedeli siano in comunione di pensieri e di comportamenti con le direttive del Vescovo; coltivino la comunicazione cordiale e assidua tra loro e con tutte le componenti della comunità diocesana e parrocchiale. L'Azione Cattolica si senta incoraggiata, secondo il suo carisma di diretta collaborazione con i Pastori, a promuovere il senso della Chiesa particolare e l'organicità della pastorale.
Dal documento finale del convegno ecclesiale di Palermo

I laici che aderiscono all'ACI: a) si impegnano a una formazione personale e comunitaria che li aiuti a corrispondere alla universale vocazione alla santità e all'apostolato nella loro specifica condizione di vita; b) collaborano alla missione della Chiesa secondo il modo loro proprio portando la loro esperienza ed assumendo la loro responsabilità nella vita dell'Associazione per contribuire all'elaborazione e all'esecuzione dell'azione pastorale della Chiesa, con costante attenzione alla mentalità, alle esigenze ed ai problemi delle persone, delle famiglie e degli ambienti; e) si impegnano a testimoniare nella loro vita l'unione con Cristo e ad informare allo spirito cristiano le scelte da loro compiute, con propria personale responsabilità, nell'ambito delle realtà temporali.
Articolo n°3 statuto AC

A servizio della comunità parrocchiale
L'Azione Cattolica ha scelto la parrocchia come ambito ecclesiale concreto nel quale quotidianamente offrire il proprio servizio e condurre la propria ordinaria esperienza associativa. In parrocchia l'Azione Cattolica vive le note con cui il Concilio ha caratterizzato la sua esperienza: quella dell'ecclesialità, della laicità, della stretta collaborazione con la Gerarchia, dell'organicità. Concretamente, come si esprimono il servizio e la vita dell'associazione nella parrocchia? Innanzitutto nella condivisione del normale cammino spirituale, liturgico, formativo della comunità. Non si può dire, infatti, di partecipare alla vita di una comunità senza prendere parte ai momenti più qualificanti e significativi della sua esperienza. Il vivere con tutti la liturgia domenicale o il cammino catechistico... è contribuire a realizzare la natura popolare dell'esperienza di parrocchia, rinunciando ad appartarsi e a costituire un'élite.
L'impegno dell'Azione Cattolica si esprime anche nella corresponsabilità pastorale, collaborando in parrocchia alla elaborazione attuazione del suo progetto pastorale e alla sua missione. Questa corresponsabilità è un'esperienza complessa e difficile, che non si può esaurire nella disponibilità a "dare una mano" o a fare genericamente qualcosa. Lo Statuto, all'articolo 2, afferma che l'AC si assume la propria responsabilità «per contribuire alla elaborazione ed all'esecuzione dell'azione pastorale della Chiesa». Il primo livello al quale si esercita la corresponsabilità è dunque quello dell'elaborazione, della riflessione, della individuazione di scelte opportune. Il Consiglio Pastorale è il luogo privilegiato in cui l'Azione Cattolica parrocchiale spende il proprio impegno. È necessario che tale apporto sia qualificato e competente: questo richiede impegno costante e approfondito nel conoscere la parrocchia e la realtà umana che ruota attorno ad essa, perché il piano pastorale sia adatto alle sue esigenze, crei vera comunicazione tra la parrocchia e l'ambiente circostante e quindi renda possibile la missionarietà della comunità ecclesiale. Nei Consigli Pastorali è necessaria anche una buona competenza pastorale nell'affrontare i problemi; una competenza che si crea attraverso uno sforzo continuo di studio, di lettura, di approfondimento, di confronto della vita associativa. Occorre curare la preparazione di quanti partecipano al Consiglio Pastorale; costoro dovrebbero avvertire che non hanno ricevuto una delega, ma un incarico nel quale sono sostenuti da tutta l'Azione Cattolica parrocchiale, che offre loro, nella riflessione e nel dialogo, occasioni per approfondire la conoscenza della parrocchia e arricchire la loro cultura pastorale.
Il secondo livello di corresponsabilità riguarda l'esecuzione di quanto è stato deciso; si tratta di operare insieme con tutti, per realizzare le scelte e le iniziative stabilite, portandole avanti con continuità, attraverso un servizio quotidiano e fedele, fatto anche di piccole cose. L'impegno apostolico primario dell'Azione Cattolica è così vissuto a servizio del piano pastorale della parrocchia e nell'ascolto delle esigenze di essa. In questa disponibilità, l'Azione Cattolica si apre alla globalità delle esigenze pastorali della comunità, senza proprie preliminari scelte di campo, attuando così quanto si legge nello Statuto: essa non sceglie questo o quel campo di apostolato (Premessa), ma il servizio in tutto ciò che la comunità le chiede; e ancora, essa «offre il proprio organico e sistematico contributo per l'unica pastorale della chiesa» (art. 5). Questo rapporto con la pastorale parrocchiale è uno degli aspetti più difficili da vivere correttamente; l'esperienza di questi anni sta a dimostrarlo. Esso esclude che l'AC si estranei della parrocchia per gestire le proprie iniziative, pur valide e buone; esclude anche che l'AC si sostituisca alla pastorale parrocchia. Un tempo questo è accaduto e ha avuto i suoi meriti, perché ha contribuito a far maturare alcune dimensioni e a creare alcuni servizi in tutta la Chiesa; ma ora essi devono coinvolgere e riguardare tutti, nelle loro specifiche responsabilità.
Questo esclude anche un'AC che dissolve la propria vita associativa per essere tutta a servizio. D'altra parte, anche alla comunità parrocchiale è richiesta una buona impostazione pastorale, perché si possa realizzare un corretto inserimento dell'Azione Cattolica: è necessario che in parrocchia ci sia un piano pastorale nel quale inserirsi e anche che non ci sia la scelta privilegiata di un movimento, perché questo esclude di fatto chi non sceglie alcuna aggregazione o chi ne sceglie una diversa.
Anche nei casi in cui l'impostazione pastorale parrocchiale presenta incertezze e limiti, è compito dell'Ac non creare contrapposizioni o alternative, ma piuttosto contribuire con pazienza a far evolvere la situazione verso un'impostazione più adeguata. Questo richiede una grande maturità cristiana, fatta di atteggiamenti interiori umili e veramente gratuiti, di fedeltà agli impegni assunti e di competenza nel portarli avanti; questo esclude anche ogni protagonismo personale e di gruppo, ma richiede la disponibilità ad offrire il proprio contributo con semplicità, unicamente nel desiderio di migliorare l'esperienza della comunità, alla cui vita si tiene come a quella della propria famiglia.
Dall'Azione Cattolica in parrocchia pag. 23

L'AC: un modo di servire
Se l'Azione Cattolica è una modalità di partecipare alla missione della Chiesa, allora per le ragioni appena viste è essenzialmente, sull'esempio di Cristo, un esigente modo di servire. Il servizio è la verifica dell'autentica ecclesialità del laicato di AC. Un servizio generoso e appassionato, risposta a una vocazione missionaria nella Chiesa e nel mondo.
Nella Chiesa, la corresponsabilità e la partecipazione si fondano sul servire. Tutti i doni dello Spirito sono infatti per l'utilità comune.
Il servizio di Dio e il servizio all'uomo, nella Chiesa non si oppongono. Radicarsi nella Chiesa per servire l'uomo significa infatti scegliere l'uomo nella sua completezza, nella sua vocazione naturale e nella sua destinazione soprannaturale. In questo senso, e solo in questo senso, l'uomo è stato definito "la via della Chiesa".
L'uomo come via della Chiesa significa che l'uomo è il destinatario del messaggio di salvezza. Non l'uomo singolo, isolato, ma l'uomo che ha relazioni (sociali, politiche, culturali) e che vive secondo valori morali. A questo uomo la Chiesa offre un messaggio fatto non solo di parole ma anche di testimonianza in modo che possa sperimentare la forza dell'amore cristiano.
Dal PFAU pag. 196-197

L'AC esprime in parrocchia la nota di ecclesialità proprio mediante la scelta di non aver altra comunità che quella parrocchiale. Essa sceglie non semplicemente di stare in parrocchia, ma di vivere per la parrocchia in cui si trova; a servizio della sua vita e del suo progetto pastorale, in un impegno di animazione che è banco di prova della maturità ecclesiale ed associativa, per la gratuità che è richiesta non solo alle singole persone, ma alle associazioni stesse, che devono superare quella forma di egoismo e di orgoglio associativo che porterebbe alla tentazione di prevalere come realtà a sé.
L'ecclesialità, sostanziale e profonda, dell'AC si manifesta concretamente nella tensione continua a conoscere la propria parrocchia e la realtà umana che ruota attorno ad essa e sul suo territorio, perché interpretandola sia possibile elaborare un piano pastorale come espressione di una Chiesa che si interroga sulla sua identità concreta, in quel luogo e tra quella gente, per essere per loro e con tutti testimone significativa dell'amore del Signore che si fa compagno di viaggio degli uomini in ricerca.
Nei Consigli pastorali, o nei luoghi e momenti in cui la parrocchia elabora il suo progetto
pastorale, l'AC è presente a dare un suo qualificato e disinteressato contributo, insieme con tutti, al bene della Chiesa di tutti.
Infine l'AC è presente nella vita parrocchiale di ogni giorno per realizzare quello che è stato insieme deciso, nel servizio quotidiano e fedele, fatto anche di piccole cose vissute con continuità; una presenza di laici che, come fermento, anima la vita parrocchiale.
L'AC progetta e propone quindi il suo impegno apostolico non a partire da propri progetti precostituiti, ma dall'ascolto dei bisogni della parrocchia e dall'assunzione creativa del progetto pastorale in essa.
Per questo si può dire che l'AC non vive per sé stessa, anzi è sé stessa quando si pone a servizio, intelligente e disponibile, della parrocchia in cui vive.
In questa disponibilità, l'AC si apre alla globalità delle esigenze pastorali della parrocchia, senza proprie preliminari scelte di campo; l'offerta dell'AC non è infatti a favore di un servizio specializzato a settori particolari della vita parrocchiale - catechesi, o liturgia, o carità, o missioni, o pastorale del lavoro, ecc. - perché non si precostituisca questo o quel campo di apostolato (Premessa allo Statuto) - ma si propone il servizio in tutto ciò che la parrocchia può richiedere.
L'impegno di laici di AC si caratterizza dal fatto che «si opera nella Chiesa particolare, con la Chiesa particolare, e per la Chiesa particolare, assumendo, in questo modo, come propria vocazione le preoccupazioni specifiche della costruzione della Chiesa particolare nel suo insieme».
Nel momento delle realizzazioni, l'AC è disponibile a tutte le esigenze che la parrocchia esprime e il suo è un servizio prestato nel dialogo con quanti altri sono impegnati negli stessi ambiti, nel comune impegno di far crescere la comunità di tutti.
Anche le modalità del cammino formativo e apostolico dell'AC in parrocchia devono essere coerenti con il tipo di presenza che l'associazione ha scelto di esprimere nella comunità parrocchiale.
In concreto, questo significa che l'AC sceglie di vivere normalmente la liturgia in parrocchia e di non fare proprie liturgie particolari se non raramente, come momento educativo orientato a far partecipare meglio all'unica liturgia parrocchiale.
La catechesi associativa dell'AC, come ricorda il Rinnovamento della catechesi, «va oltre, in un impegno più consapevole, con una ricerca rispondente agli scopi del gruppo», abilitando pertanto tutti i soci a vivere con libertà e generosità la scelta associativa a servizio della comunità. L'AC non gestisce in proprio impegni di carità; tutta l'espressione di carità, di promozione umana, di servizio, di attenzione agli ammalati... che dalla sua catechesi e dai suoi itinerari formativi nascono, viene fatta confluire nella pastorale caritativa della parrocchia.
L'AC ha anche un suo programma di servizio, condotto con propria responsabilità, ma sempre riferito alle esigenze della comunità parrocchiale. Talvolta può esprimersi in forma di supplenza, perché la parrocchia non è in grado di esprimere pienamente la dimensione caritativa del suo impegno; ma in questo caso, l'AC dovrà avvertire innanzitutto l'esigenza di animare la parrocchia, perché sia all'altezza di tutta la sua missione, in modo maturo e attivo. Altre volte il servizio sarà esplorazione profetica di strade nuove, su cui occorre camminare con una maggiore libertà rispetto a quella di cui può disporre una realtà strutturata come la parrocchia. L'affido familiare, l'attenzione agli handicappati, l'animazione delle periferie... richiedono la disponibilità a concreti gesti di carità che l'AC propone e vive preoccupandosi però che tutta la parrocchia si faccia attenta agli ultimi.
L'animazione della parrocchia va così di pari passo con l'offerta ad essa di concrete disponibilità al servizio - di volontariato, di accoglienza, di ospitalità... - e con un impegno più complesso di animazione socio - culturale sul territorio in cui la parrocchia vive.
Il servizio ai poveri che nasce dalla catechesi e dagli itinerari formativi dell'AC fa maturare negli aderenti una sensibilità verso i problemi degli ultimi e le questioni relative alla solidarietà e alla giustizia. Quindi, ha anch'esso un valore educativo che indirizza e guida a cogliervi non la dimensione attivistica che appaga chi si impegna - ma quella della risposta a bisogni presenti, con l'attenzione rivolta al servizio che si rende e alle persone cui si rende.
Certo l'AC non si «dissolve» nel servizio alla parrocchia: non potrebbe più servire veramente. Ha una sua vita di associazione, finalizzata a far maturare personalità di cristiani adulti nella fede e nella testimonianza, capaci di amore alla Chiesa e di sensibilità pastorale, come presupposti interiori di una dedizione che non si riduca ad attivismo.
Ciò che è essenziale nell'impegno ecclesiale dell'AC e nel suo servizio pastorale concreto - fatto di partecipazione all'attività catechistica e di evangelizzazione, alla vita liturgica, e all'impegno caritativo della propria comunità - è l’ itinerario formativo, sintesi di vita associativa e di catechesi, di spiritualità, di cultura, di riflessione critica su ogni attività di servizio.
La formazione data in AC, tra l'altro, deve far crescere la consapevolezza di vivere, mediante l'associazione, quella singolare forma di ministerialità laicale di cui ha parlato Paolo VI, riferendosi a quei laici che hanno scelto di seguire la Chiesa in forma organica e in un rapporto di stretta corresponsabilità con i Pastori. Proprio la coscienza della propria ministerialità spinge l'AC sempre oltre sé stessa, la induce a relativizzare il proprio essere associazione, e i programmi ad essa connessi, per riconoscere il primato della comunità alla quale intende servire.
Certo questo costringe l'AC a vivere una forma di tensione continua tra le esigenze del suo essere associazione e del suo essere per la Chiesa; si tratta di una tensione che contribuisce a rendere più matura - perché più provata - la disponibilità stessa dell'AC alla Chiesa.
Da Non abbiate paura di aderire all'Azione Cattolica: manuale dell'AC in Parrocchia pag. 13 - 15

Unità e diversità nella comunione ecclesiale
15. «L'universalità della chiesa, da una parte, comporta la più solida unità e, dall'altra, una pluralità e una diversificazione, che non ostacolano l'unità, ma le conferiscono invece il carattere di "comunione"». Questa pluralità si riferisce sia alla diversità di ministeri, carismi, forme di vita e di apostolato all'interno di ogni chiesa particolare, sia alla diversità di tradizioni liturgiche e culturali, tra le diverse chiese particolari.
La promozione dell'unità che non ostacola la diversità, così come il riconoscimento e la promozione di una diversificazione che non ostacola l'unità ma la arricchisce, è compito primordiale del romano pontefice per tutta la chiesa e, salvo il diritto generale della stessa chiesa, di ogni vescovo nella chiesa particolare affidata al suo ministero pastorale. Ma l'edificazione e salvaguardia di questa unità, alla quale la diversificazione conferisce il carattere di comunione, è anche compito di tutti nella chiesa, perché tutti sono chiamati a costruirla e rispettarla ogni giorno, soprattutto mediante quella carità che è «il vincolo della perfezione».
Da "alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione" Congregazione per la dottrina della fede n°15