03 dicembre 2006 ore 18.02
La formazione del responsabile alla fede adulta
03 dicembre 2006
ore 18.02
La formazione del responsabile
ALLA FEDE ADULTA


► Linee generali
La formazione alla fede adulta per un responsabile racchiude in se diversi aspetti correlati tra loro. Anzitutto richiama il cammino verso la santità che egli condivide con tutti i credenti e che non può mai dirsi concluso.
L'efficacia del servizio di responsabilità va ricercato prima che nei metodi e strumenti, nel radicamento in una forte spiritualità; il servizio è presentato come "un'opportunità" in più, come una grazia che il Signore concede, in ordine al personale cammino di santità laicale.
Per questo è importante che il responsabile tragga dal servizio educativo uno stimolo per intensificare la sua formazione personale sotto ogni aspetto e approfondisca i contenuti della fede nella prospettiva educativa.
Essendo chiamato a servire la comunicazione della fede, deve poi conoscere la natura dell'atto di fede, la sua dinamica, le tappe e le scelte operative attraverso cui si snoda il cammino verso la fede adulta, traducendolo in adeguati itinerari da promuovere nel contesto della vita associativa, a sua volta inserito nel contesto più ampio della vita ecclesiale.
Per il raggiungimento di questi obiettivi è fondamentale l'educazione alla familiarità con la parola di Dio. La Bibbia infatti entra in tutta la vita della Chiesa "come linfa per ogni servizio della fede: nel cammino di annuncio e catechesi, nella celebrazione della liturgia, nella preghiera e
riflessione spirituale sia personale che comunitaria".
(COMMISIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE E LA CATECHESI DELLA CEI; La parola del Signore si diffonda e sia glorificata 2Ts 3,1. La bibbia nella vita della Chiesa, 1995, n.20).
E’ necessario allora porsi in religioso ascolto della Parola, nutrirsi della Parola, servire la Parola.
► Obiettivo:
Dare un “cuore" al servizio di responsabile radicandolo in una forte spiritualità
► Metodo:
L'incontro formativo di équipe, come luogo di educazione all'accoglienza alla comunicazione e alla comunione.
Di volta in volta sarà presente un amico che ci aiuterà a riflettere sul tema con cui scambieremo le idee suscitate dallo studio personale, che poi avrà il compito di tirare le conclusioni e di indicarci eventuali piste di lavoro.
► Strumenti:
Apostolicam actuositatem - christifideles Laici - statuto di ACI - Progetto ACI in particolare I e II area - Appunti per una regola - Materiale in appendice per lo studio personale.

Documenti per lo studio personale

Vocazione universale alla santità
40. Il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore: «Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste» (Mt. 5,48). Mandò infatti a tutti lo Spirito Santo, affinché li movesse internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr. Mr. 12,30) e ad amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro (cfr. Gv. 13,34; 15,12). I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere ma a titolo del suo disegno e della grazia; giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l'aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto. Li ammonisce l'Apostolo che vivano «come si conviene a santi » (Ef. 5,3), si rivestano «come si conviene a eletti di Dio, santi e prediletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza» (Col. 3,12) e portino i frutti dello Spirito per la loro santificazione (cfr. Gal. 5,22; Rm. 6,22). E poiché tutti commettiamo molti sbagli (cfr. Gc. 3,2), abbiamo continuamente bisogno della misericordia di Dio e dobbiamo ogni giorno pregare: <<Rimetti a noi i nostri debiti, (Mt. 6,12).
E’ dunque evidente per tutti, coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza e alla perfezione della carità e che tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano. Per raggiungere questa perfezione i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo volle donarle, affinché, seguendo l'esempio di lui e diventati conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con piena generosità si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescerà in frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato nella storia della Chiesa dalla vita di tanti santi.
Dalla Lumen Gentium

La spiritualità dei laici in ordine all'apostolato
4. Siccome la fonte e l'origine di tutto l'apostolato della Chiesa è Cristo, mandato dal Padre, è evidente che la fecondità dell'apostolato dei laici dipende dalla loro unione vitale con Cristo, secondo il detto del Signore: «Chi rimane in me ed io in lui, questi produce molto frutto, perché senza di me non potete far niente » (Gv. 15,5).
Questa vita d'intimità con Cristo viene alimentata nella Chiesa con gli aiuti spirituali comuni a tutti i fedeli, soprattutto con la partecipazione attiva alla sacra liturgia. I laici devono usare tali aiuti in modo che, mentre compiono con rettitudine i doveri del mondo nelle condizioni ordinarie di vita, non separino dalla propria vita l'unione con Cristo ma crescano sempre più in essa compiendo la propria attività secondo il volere divino.
Su questa strada occorre che i laici progrediscano nella santità con ardore e gioia, cercando di superare le difficoltà con prudenza e pazienza. Né la cura della famiglia ne gli altri impegni secolari devono essere estranei alla spiritualità della loro vita, secondo il detto dell'Apostolo: «Tutto quello che fate, in parole e in opere, fatelo nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie a Dio e al Padre per mezzo di lui » (Col. 3,17).
Tale vita richiede un continuo esercizio della fede, della speranza e della carità. Solo alla luce della fede e nella meditazione della parola di Dio è possibile, sempre e dovunque, riconoscere Dio nel quale «viviamo, ci muoviamo e siamo» (At. 17, 28), cercare in ogni avvenimento la sua volontà, vedere il Cristo in ogni uomo, vicino o estraneo, giudicare rettamente del vero senso e valore che le cose temporali hanno in sé stesse e in ordine al fine dell'uomo. Quanti hanno tale fede vivono nella speranza della rivelazione dei figli di Dio, nel ricordo della croce e della risurrezione del Signore. Nel pellegrinaggio della vita presente, nascosti con Cristo in Dio e liberi dalla schiavitù delle ricchezze, mentre mirano ai beni eterni, con animo generoso si dedicano totalmente ad estendere il regno di Dio e ad animare e perfezionare con lo spirito cristiano l'ordine delle realtà temporali Nelle avversità della vita trovano la forza nella speranza, pensando che «le sofferenze del tempo presente non reggono il confronto con la gloria futura che si rivelerà in noi» (Rm. 8,18).
Spinti dalla carità che viene da Dio, operano il bene verso tutti e in modo speciale verso i fratelli nella fede (cfr. Gal. 6,10) «eliminando ogni malizia e ogni inganno, le ipocrisie e le invidie, e tutte le maldicenze » (1 Pt. 2,1), attraendo così gli uomini a Cristo.
La carità di Dio, «diffusa nel nostro cuore per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm. 5,5), rende capaci i laici di esprimere realmente nella loro vita lo spirito delle beatitudini.
Seguendo Gesù povero, non si deprimono nella mancanza dei beni temporali, né si inorgogliscono nella abbondanza di essi; imitando Gesù umile, non diventano avidi di una gloria vana (cfr. Gal 5,26), ma cercano di piacere più a Dio che agli uomini, sempre pronti a lasciare tutto per Cristo (cfr. Lc 14, 26) e a soffrire persecuzione per la giustizia (cfr. Mt. 5,10), memori delle parole del Signore: «Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt. 16, 24). Coltivando l'amicizia cristiana tra loro si offrono vicendevolmente aiuto in qualsiasi necessità.
Questa spiritualità dei laici deve parimenti assumere una sua fisionomia particolare a seconda dello stato del matrimonio e della famiglia, del celibato o della vedovanza, della condizione di infermità, dell'attività professionale e sociale. I laici non tralascino dunque di coltivare costantemente le qualità e le doti ricevute, corrispondenti a tali condizioni, e di servirsi dei doni ottenuti dallo Spirito Santo.
Inoltre, quei laici che, seguendo la propria particolare vocazione, sono iscritti a qualche associazione o istituto approvato dalla Chiesa, si sforzino di assimilare fedelmente la spiritualità peculiare dei medesimi.
Tutti i laici facciano pure gran conto della competenza professionale, del senso della famiglia, del senso civico e di quelle virtù che riguardano i rapporti sociali, come la correttezza, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza di animo: virtù senza le quali non ci può essere neanche una vera vita cristiana.
Modello perfetto di tale vita spirituale e apostolica è la beata Vergine Maria, regina degli apostoli, la quale mentre viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro, era sempre intimamente unita al Figlio suo, e cooperava in modo del tutto singolare all'opera del Salvatore; ora poi assunta in cielo, «con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo ai pericoli e affanni fino a che non siano condotti nella patria beata». La onorino tutti devotissimamente e affidino alla sua materna cura la propria vita e il proprio apostolato
Dal decreto Conciliare Apostolicam actuositatem

La Vocazione alla Santità
La Vocazione alla Santità deve essere percepita e vissuta dai fedeli laici, prima che come obbligo esigente e irrinunciabile, come segno luminoso dell'infinito amore del Padre che li ha rigenerati alla sua vita di santità. Tale vocazione, allora, deve dirsi una componente essenziale e inseparabile della nuova vita battesimale, e pertanto un elemento costitutivo della loro dignità. Nello stesso tempo la vocazione alla santità è intimamente connessa con la missione e con le responsabilità affidate ai fedeli laici nella chiesa e nel mondo. Infatti, già la stessa santità vissuta, che deriva dalla partecipazione alla vita di santità della chiesa, rappresenta il primo e fondamentale contributo all'edificazione della chiesa stessa, quale «Comunione dei Santi». Agli occhi illuminati dalla fede si spalanca uno scenario meraviglioso: quello di tantissimi fedeli laici, uomini e donne, che proprio nella vita e nelle attività d'ogni giorno, spesso inosservati o addirittura incompresi, sconosciuti ai grandi della terra ma guardati con amore dal Padre, sono gli operai instancabili che lavorano nella vigna del Signore, sono gli artefici umili e grandi - certo per la potenza della grazia di Dio - della crescita del regno di Dio nella storia. La santità, poi, deve dirsi un fondamentale presupposto e una condizione del tutto insostituibile per il compiersi della missione di salvezza nella chiesa. E’ la santita della chiesa la sorgente segreta e la misura infallibile della sua operosità apostolica e del suo slancio missionario. Solo nella misura in cui la chiesa, Sposa di Cristo, si lascia amare da Lui e lo riama, essa diventa Madre feconda nello Spirito.
Riprendiamo di nuovo l'immagine biblica: lo sbocciare e l'espandersi dei tralci dipendono dal loro inserimento nella vite. «Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i traici. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv. 15,4-5).
Dalla Christifideles laici, 17

Un primato sperimentato nella Chiesa
La fede è fare esperienza diretta di questo Mistero (il Dio - uomo) essendo coscienti che questa esperienza è anche di un popolo, la Chiesa. Anche la Chiesa è serva del Signore e amministra i beni che il Signore le affida per conservarsi fedele. Non si tratta di beni limitati o particolari; sono i beni fondamentali ed essenziali per la vita stessa della Chiesa, i doni che il Signore le fa (e ci fa) per essere con noi sempre. Il primo di questi beni è la Parola di Dio che, ascoltata e accolta nel cuore da ogni credente, ma anche dalla comunità nel suo insieme, rende vigilanti e sapienti per compiere la volontà di Dio. Il secondo di questi beni sono i Sacramenti e la Liturgia in generale: presenza viva del Signore, celebrata nella comunità, sono gli efficaci segni per il cammino, pane e nutrimento per la nostra fame, perdono per le ferite, festa per gli avvenimenti della nostra vita. Il terzo di questi beni è il segno grande e impegnativo della Carità: la carità che si esprime come amore fraterno verso tutti, specialmente verso chi ha più bisogno, e che si esprime come comunione e unità nella vita della comunità, comunione a immagine dell'Amore di Dio che fa una la Trinità. Questa comunione non è generico volersi bene, ma comunione stabile di carismi (doni dello Spirito) e ministeri (compiti per servire). La fede - conseguentemente - comporta che scegliamo (operiamo cioè –un discernimento) con tutta la pazienza e l'umiltà che occorrono, tra ciò che è secondo Dio e ciò che non lo è nella storia degli uomini. Sapendo per altro che tale storia è creata dall'amore di Dio e per tornare a Lui. Per scegliere (discernere) siamo impegnati all'ascolto, al dialogo, a un’esigente moralità e competenza. E a questo punto possiamo esplorare con nuovi elementi l'espressione "primato dello spirituale". E’ vivere sempre, in ogni stato di vita, secondo lo Spirito, mettendo tutto in relazione a Cristo. Quindi è saper incarnare il cristianesimo. Nella pratica, vivere dando il primato allo spirituale, non rende le vite degli uomini e delle donne tutte uguali. Ciascuno sottolineerà qualche aspetto che più risponde ai suoi doni. Questo non fa problema. E’ importante invece avere ben presente che l'origine (la fede come dono di Dio) e il fine (la santità come segno del discepolo) sono comuni. Il nostro lavoro - e la nostra esperienza – come associazione vuole far percorrere questo itinerario dalla fede alla santità, dall'origine al fine.
Infatti quando diciamo formazione (la cura che il dono della fede richiede) e missione (la fatica e lo sforzo perché la santità cresca) parliamo proprio dei due momenti tra loro inscindibili di questo itinerario, momenti che devono stare in perfetto per quanto difficile, equilibrio tra di loro. Lo spirituale non può essere un pretesto di fuga dalla responsabilità missionaria e la responsabilità nella missione verso il mondo non può essere un pretesto per trascurare lo spirituale. Amare Dio e la terra che egli ha creato, amare la strada che stiamo percorrendo (la storia) e la meta (il Regno di Dio) è una bella sfida. Noi la raccogliamo e decidiamo di viverla insieme.
Dal PFAU 107-109

I modi
Allora passerei a dire i modi, i metodi della preghiera del laico. Anche qui ci troviamo a che fare con con aspetti più tipicamente connessi con la preghiera della chiesa, la preghiera proposta alla Comunità, e con i metodi provenienti dalla capacità di risposta del laico alla sua vocazione che si deve liberare in uno stato di laicità orante.
A me pare che i metodi o i modi della preghiera siano interpretabili soprattutto secondo due grandi tipi. Il primo indubbiamente è quello che oggi si definisce Lectio divina. Non c'è dubbio che la preghiera del laico da un lato oggi non può non essere Lectio divina, coni suoi gradi, con la sua capacità di ascoltare il racconto della Parola rivolto alla storia personale, e dall’altro non può non essere Lectio historiae. Sarebbe un errore insistere, nell’educazione del laico alla preghiera sulla Lectio divina senza insistere - parimenti e pariteticamente – sulla Lectio historiae. Perché questo metodo consente davvero di essere vitalmente collegato con la radicalità della Parola e della Grazia e vitalmente inserito nella storia, che pure è parola mediata in quanto riferita all'umanità che è stata radicalmente salvata dal Cristo: Lectio divina e Lectio historiae. Non c’è nulla che non sia passibile di essere introdotto nella preghiera. Dalla Lectio divina e dalla Lectio historiae viene quella risposta metodologica della preghiera del laico che è insieme fare memoria del presente, delle cose che si vivono, che si sperimentano: è memoria del passato personale, del passato della Grazia, degli immensi doni che il Signore ha dato. In questo senso fare memoria è ringraziamento. Direi che la preghiera del laico (lezione divina e lezione storica) trova la sua vera espressione più nel canto che nelle parole: un canto non fatto di melodie ma appunto di intenzioni, di accordi (in fondo l'icona del Magnificat è proprio l'icona del modo proprio del laico di esprimere la sua lectio divina e la sua lectio historiae).
Questo comporta sul piano concreto una valutazione dei sentimenti, perché l'intelligenza e la ragione che si mettono alla Scuola della Parola e alla scuola della storia, sono poi motivazioni di sentimenti, sono anche scelte morali: vanno dal pentimento alla misericordia, alla gioia. Il cristiano laico non può non trarre dalle due lectio se non una motivazione positiva, perché ha riconosciuto la sua vocazione e, nella Parola e nei segni del tempo, la gioia; per cui tutto ciò che nel laicato cattolico si presenta come pessimismo, come giudizio, come condanna, è lontano dall’autentica orazione del laico cristiano.
Si può arrivare anche a dire con chiarezza che, se è cosi, il modo di pregare del laico e col cuore e con le mani: con l'atteggiamento interiore e con l'uso della razionalità, dell'intelligenza, per ascoltare la parola di Dio e la parola della storia; ma anche con le mani, nel fare bene le faccende umane, nel lavorare umanamente secondo l'ordine delle cose umane.
Qui applicherei proprio il criterio del Vaticano II: l'animazione cristiana nelle realtà temporali secondo il loro significato: quindi facendo bene l'economista, il tecnico, il sociologo, lo spazzino, il professore e via dicendo. Questo è preghiera, indipendentemente dalla consapevolezza del momento, perché è uno status interiore che guida la mano, oltre che la decisione del cuore. Allora è chiaro che si inverte una tradizionale concezione della preghiera del laico: non è la preghiera che è collocata all’inizio di una giornata, in un anno di lavoro, in un tempo minore, o dentro un'attività quasi per vestire questa attività di santità, ma è quella attività che viene assunta nell'impianto orante dell'esercizio della laicità.
Un tempo insegnavano anche ai ragazzini che la giornata poteva essere valorizzata dal punto di vista della preghiera: la giornata era tanti zeri; pregando al mattino si metteva l’1 davanti, e la giornata diventava così un valore. Oggi le cose vanno diversamente. Il tempo della secolarizzazione è quello in cui non abbiamo più degli zeri da cristianizzare, ma abbiamo delle cifre consistenti che ci impediscono di mettere un 1 davanti: la preghiera è come assunta nella secolarizzazione. Certo, è necessario e opportuno dedicare il tempo e quindi anche porre dei momenti specifici di orazione esplicita, di destinazione di uno spazio, di un tempo, di un’attività. Occorre però questa capacità di inserire, nella preghiera che è iniziata, continuata e sorretta da questi tempi, ma che è status, di inserire nella preghiera, la vita.
Di qui la funzione dei gruppi, delle realtà associative, che può essere ricchissima in questo senso, sia per educare a pregare secondo questo itinerario di risposta alla vocazione laicale, sia nell'aiutare i laici e nell’aiutarsi reciprocamente a inserire la vita nella preghiera.
Da ultimo direi che rimane una sfida già presente in tanta spiritualità del laicato cattolico, internazionale e italiano e, in modo specifico, nell'Azione Cattolica: la sfida della contemplazione.
Certamente, questo dialogo col Signore non può non essere una ricerca di immedesimazione attraverso il lasciare la porta aperta alla sua parola e al suo mostrarsi attraverso le cose belle e meno belle della storia; e cioè rimane questo bisogno ultimo della preghiera del laico che è contemplazione, perché quanto più il cristiano è calato nel secolo, tanto più ha bisogno e aspira alla contemplazione, cioè a guardare oltre le circostanze, le situazioni, oltre se stesso, per sublimare la sua umanità sempre seguendo l'umanità di Cristo.
Contemplare, per la preghiera dei laico, non è diminuzione, ne separazione. Contemplare è una sfida nella realtà storica: guardare le cose e gli uomini con gli occhi di Dio, perché solo così si può guardare Dio con gli occhi degli uomini.
Molti grandi nostri laici hanno dimostrato di accogliere positivamente questo tipo di sfida: da Lazzati a Bachelet, per ricordare soltanto quelli che l’Azione Cattolica milanese e nazionale, hanno dato un significato straordinario proprio in questo senso. Credo che seguendo il loro esempio e aggiornando la loro proposta, proprio perché la storia cammina e anche la laicità continua ad evolversi, occorre veramente riprendere la prospettiva di questa idea della contemplazione, in modo particolare per l’associazionismo, con la proposta di pregare con il cuore e la mente protesi ad una meta che è metafisica, che è quindi al di la della possibile storia nostra, e che peroò, pur essendo al di la, è gia al di qua e ci consente di essere laici non del mondo, ma nel mondo.
Concludendo, credo che il grande problema della preghiera del laico possa essere riassunto in due termini. Uno è quello della sfida educativa, cioè come autoeducarsi da laici e come aiutare i laici aiutandoli a diventare partecipi di uno status di preghiera calato cosi concretamente anche nelle vicende della storia. E l'altra è proprio un obiettivo educativo, che non è solo degli assistenti dell’Azione Cattolica, ma evidentemente è della Chiesa nel suo complesso: la comunicazione del saper pregare, del sapersi in stato di preghiera fra laici e, in genere, fra credenti.
Io penso che sia necessaria una grande revisione del sistema educativo, che sappia trarre insegnamenti importanti dal Concilio, dalla storia, della stessa prima edizione del catechismo della
CEI, impostato sul metodo induttivo. Si tratta di recuperare alcune grandi metodologie e proposte di preghiera che hanno caratterizzato il laicato cattolico.
Sta per uscire uno splendido libro di Mons. Emilio Guano, sulla preghiera; è un volume straordinario, legato appunto alla lectio divina e alla lectio historiae. Ma ce ne sono tanti altri (si pensi ai testi di Lazzati). Ricordo ancora Vittorio Bachelet, che affermava che si può fare catechesi anche con la costituzione italiana.
In questo senso occorre una profonda capacità di revisione della metodologia: bisogna trovare qualche forma di realizzazione, di consapevolezza di essere gioiosamente e profondamente in preghiera tra noi laici. Sacerdoti, Chiesa, comunità ci aiutino a comunicare questo. Un certo tipo di annuncio del Vangelo fra di noi, è l’annuncio di Cristo che prega, è un annuncio di preghiera, quindi anche della possibilità di narrare se stessi a Dio. E in questo - ne sono certo – Dio è con noi.
ALBERTO MONTICONE, il laico che prega: interrogativi, modalità, esperienze.

La vita spirituale
La vita spirituale è dunque il centro della proposta di AC. Se un giovane che cammina in AC non giunge a questo, l’esperienza che egli fa rimarrà solo una – magari positiva e arricchente – delle tante esperienze che avranno popolato la sua vita ma nulla di più.
Occorre arrivare all’incontro personale con Cristo, un incontro non come gli altri, non alternativo ad altri, ma che da significato a tutti gli altri.
Molti giovani ammettono l’esistenza di Dio, ma non tutti lo riconoscono come Padre. Tra l’una e l’altra cosa c’è la storia del cammino che ciascuno è chiamato a fare, e durante il quale crescere lasciandosi amare da Lui.
Nel Progetto Giovani abbiamo scritto: “la spiritualità è per noi non una forma di estraniazione dell’esistenza, ma il modo di vivere l’esistenza in pienezza, nella docilità allo spirito. Spiritualità è vivere secondo lo Spirito, lasciandosi guidare dalla volontà del Signore, dal suo amore discreto e potente, è vita al cospetto di Dio e in Dio. Vivere secondo lo spirito è lasciarsi trasformare con docilità dalla sua azione che ci rende sempre più conformi a Cristo Gesù”.
La prospettiva nella quale ci poniamo considera la spiritualità in una accezione globale, cioè come il modo di vivere l’esistenza in pienezza nella docilità allo Spirito. In termini più appropriati possiamo dire che spiritualità è “ricomprensione e riorganizzazione dei personali sistemi di significato, operata a partire da una decisione esistenziale per Gesù Cristo e per il suo progetto di vita”.
La spiritualità viene ad essere il modo originale e proprio con il quale il cristiano opera il suo cammino di santità, vive la vita nello Spirito a lui offerta nel Battesimo, alimentata dalla celebrazione dei Sacramenti e della preghiera, sostenuta dalla comunione ecclesiale. Unica è la fonte, lo Spirito Santo; unica la meta, la vita trinitaria: diversi i percorsi in corrispondenza ai doni offerti dallo Spirito, alle situazioni di vita.
Una spiritualità, dunque, che interpella tutta la vita, in ogni suo momento, non per mortificarla né per esaltarla, ma per viverla in pienezza. Una spiritualità, cioè, che sia vita secondo lo spirito. Una spiritualità di cui non esistono schemi, o ricette pronte per l’uso. Una spiritualità che in ciascuno assume un volto diverso, a seconda del carattere, dell’età, della propria storia personale, dell’ambiente culturale, sociale, ecclesiale in cui si vive, degli scheletri che custodisce nel proprio armadio…
Da Seguire il Signore della vita. Una proposta di spiritualità ai giovani. ACG

Ma c’è una cosa ancor più importante che dobbiamo raggiungere nella nostra vita per eliminare o almeno ridurre i vari dissidi che dilaniano e che ci impediscono di essere “uno” e “uno vitale e forte”. Dobbiamo eliminare, o almeno ridurre, le contraddizioni tra azione e contemplazione, tra apostolato e preghiera, tra attività esterna e attività interiore, tra il dedicarci a noi e il dedicarci agli altri. Come fare? Si sente dire: “ho troppi impegni professionali, non posso più pregare”. E ancora: “come faccio a pregare con cinque bambini fra i piedi da mattina a sera”? Oppure “come posso dedicarmi alla preghiera con otto ore di ufficio e con la casa da riordinare”? Queste espressioni denunciano una cosa molto grave: la svalutazione fondamentale dell’attività umana. Si direbbe che nella vita dell’uomo il lavoro, l’impegno familiare, sociale, professionale siano cose completamente estranee alla preghiera e all’attività dell’anima. Ed è così vero quel che sto dicendo che gli interventi degli uomini pii aggravano la confusione e la svalutazione delle attività umane. Essi dicono: “offri al mattino il tuo lavoro, la tua fatica e così essa diventa preghiera”. Oppure fai così: “di tanto in tanto raccogliti in preghiera…ecc. ecc.”. Proprio come se fosse assolutamente necessario uscire dal lavoro per essere uniti a Dio, o distrarci dal nostro dovere di uomini per…fare il proprio dovere di cristiani! Tutto ciò è confuso e denuncia un’epoca carente di teologia sul laicato. Più ancora è l’espressione di una pietà “disincarnata” e come sospesa tra cielo e terra. Il lavoro, lo studio, lo sbrigare le faccende, l’accudire i figli sono cose importanti, terribilmente importanti! Più ancora: sono cose sante in sé perché sono valori umani voluti da Dio a cui io debbo dedicarmi con tutte le mie forze e con tutto il mio pensiero. E’ certo che non toglie nulla alla mia giornata offrirla al mattino nella preghiera…anzi! Ma prima di tutto io debbo capire e credere che la mia fatica ha un valore enorme, che il mio impegno a fondo di uomo è cosa santa perché voluta da Dio e che io compio in obbedienza alla sua legge di creatore. E se Dio permette che dopo il mio lavoro, la mia fatica mi rimanga un po’ di tempo libero, allora mi consacro gratis per qualche po’ alla contemplazione a tutto vantaggio dell’equilibrio della mia vita.
Si sente poi ancora dire: “ho troppi impegni di apostolato, non posso pregare”.
Qui la contraddizione è di una tale evidenza che solo il termine usato dal Manzoni per definire il nostro povero cuore è adeguato alla realtà: “guazzabuglio”.
Come è possibile che siano in lotta due maniere di esprimere l’amore alla stessa persona? Se è vero che la preghiera è amore di Dio come può essere escluso da un altro amore di Dio che è fare l’apostolato? Forse che il primo comandamento si mette in lotta col secondo che è pur simile al primo? Forse che la carità che mi spinge verso il prossimo non mi spinge nello stesso momento verso Dio? O allora ciò che chiamo apostolato non è amore del prossimo ma agitazione, attivismo, ricerca di sé, amore di evasione e, Dio non voglia, “eresia dell’azione” come l’ha definita l’abate Chautard. In questo caso non si deve dire “ho troppi impegni di apostolato, non posso pregare”, ma invece “mi sto illudendo facendo delle cose che chiamo apostolato, ma in realtà perdo il mio tempo a cercar me stesso nel contatto col mio prossimo e non ho più tempo per stare con Dio”.
Dio è troppo semplice nel rapporto con noi e non può metterci continuamente in contraddizione mentre cerchiamo di andare a lui. Ma…bisogna veramente voler andare a lui ed è questo fondamentale desiderio che unifica il tutto nella molteplicità delle nostre azioni.
Voler andare a lui, cercare lui solo, la sua volontà, il suo amore. Voler andare a lui con tutto il nostro essere qual è uscito dalle sue mani e qual è stato ridotto dai nostri peccati. Voler andare a lui con il nostro spirito e con il nostro corpo, con la nostra fatica quotidiana e con la grazia che ci è stata data, coi nostri fratelli che lottano con noi e con l’aspirazione di tutto il cosmo. E sono certe due cose in questo “voler andare a lui”. La prima è che nei contrasti o nei dubbi la carità deve essere considerata suprema regola, e la seconda è che dobbiamo presente che fin tanto che saremo su questa terra il vincolo che ci unisce a Dio è fatto dal desiderio di pervenire all’unione con lui e, pur essendo tale desiderio imperfetto, esso rimane il substrato basilare della nostra vita religiosa.
CARLO CARRETTO, Ciò che conta è amore, pp. 108-110.

Preghiera:
SEMPLICEMENTE SANTI

Siate soprattutto uomini.
Fino in fondo.
Anzi. fino in cima.
Perché essere uomini fino in cima, significa essere santi.
Non fermatevi, perciò, a mezza costa: la santità non sopporta misure discrete.
E, oltre che iscritti all'Azione Cattolica,
siate esperti di Cattolicità Attiva:
capaci cioè, di accoglienze ecumeniche, provocatori di solidarietà planetarie,
missionari «fino agli estremi confini», profeti di giustizia e di pace.
E, più che tesserati,
siate distributori di tessere di riconoscimento
per tutto ciò che è diverso da voi,
disposti a pagare con la pelle il prezzo di quella comunione
per la quale Gesù Cristo,
vostro incredibile amore,
ha donato la vita.

+ don Tonino, Vescovo

*Messaggio agli aderenti all’AC diocesana in occasione della Festa dell'Adesione, 8 dicembre1990.