30 settembre 2009 ore 21.26
Lo accolse con gioia (Lc 19,6) - proposta di riflessione su Zaccheo
30 settembre 2009
ore 21.26

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Lo accolse con gioia (Lc 19,6)
a cura di don Giordano Trapasso

Penso che per noi, chiamati ad una missione educativa, sia importante prima fissare lo sguardo sullo stile di Gesù, poi soffermarci su Zaccheo ed il suo incontro con Gesù.

19,1 Entrato in Gerico, attraversava la città.
Il contesto di questo brano è il viaggio di Gesù a Gerusalemme, che Lc fa iniziare in 9,51: “Mentre si compivano i giorni della sua assunzione (analempsis, sia morte che ascensione di Gesù), indurì il suo volto (Is 50,7b) per incamminarsi verso Gerusalemme”. Gerico si trova a 30 Km circa da Gerusalemme, a 350 m. sotto il livello del mare, mentre Gerusalemme si trova a 750 m. sul livello del mare. Il tragitto da Gerico a Gerusalemme, e viceversa, era esposto (Lc 10,25-37) agli attacchi dei predoni. Gerico era sede di sacerdoti e leviti che salivano a Gerusalemme quando ricorreva la loro settimana di servizio al Tempio. Gesù è entrato in Gerico. Gerico è una città importante per la storia di Israele. Essa era la maggiore città della terra di Canaan, aveva un suo re ed era circondata da mura possenti. Una vicina sorgente d’acqua garantiva l’acqua agli abitanti ed al bestiame e ciò spiega perché tale sito era abitato a partire dal quinto millennio a.C.. Il nome della città è composto da yareah (=luna) e ruah (=vento). Probabilmente ivi si praticava un antico culto lunare. Non fu facile la conquista di Gerico per il popolo di Israele. Giosuè invia nella città degli esploratori in incognito, ma il re aveva un efficiente controspionaggio ed è subito informato della loro presenza. Gli esploratori trovano rifugio presso una donna astuta, la prostituta Raab, che li nasconde a casa sua. Questa donna sarà la prima straniera ad essere incorporata nella comunità d’Israele, per la sua fede, perché riconosce, dietro la venuta di quegli esploratori, l’opera di Dio: “ So che il Signore vi ha consegnato la terra. Ci è piombato addosso il terrore di voi e davanti a voi tremano tutti gli abitanti della regione, poiché udimmo che il Signore ha prosciugato le acque del mar Rosso davanti a voi, quando usciste dall’Egitto, e quanto avete fatto ai due re amorrei oltre il Giordano, Sicon e Og, da voi votati allo sterminio. Quando l’udimmo, il nostro cuore venne meno e nessuno ha più coraggio dinanzi a voi, perché il Signore, vostro Dio, è Dio lassù in cielo e quaggiù sulla terra” (Gs 2,9-12). Per questo ella li nascose e li fece fuggire di nascosto. Raab è ricordata dall’evangelista Matteo (1,5) come inserita nella storia della salvezza che conduce alla nascita di Gesù. “Per fede, Raab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto con benevolenza gli esploratori”, ci ricorda la lettera agli Ebrei (11,31). E S. Giacomo nella sua lettera prende Raab come testimone di che cosa vuol dire essere giustificato per la fede che si traduce in opere, e non da una fede senza le opere: “Vedete, l’uomo è giustificato per le opere, e non soltanto per la fede. Così anche Raab, la prostituta, non fu forse giustificata per le opere, perché aveva dato ospitalità agli esploratori e li aveva fatti ripartire per un’altra strada?” (2,25). Quando gli Israeliti si apprestarono alla conquista di Gerico (6,1-27), essa si presentava come una città fortificata, sbarrata e sprangata, nella quale nessuno poteva entrare e dalla quale nessuno poteva uscire. L’impresa è ardua: ci vollero sei giorni di marcia intorno alla città, il settimo giorno gli israeliti fecero sette volte il giro delle mura. Al suono delle trombe e al grido di guerra, le mura della città crollano su se stesse. Gli israeliti entrano in città, eseguono la legge dello herem (sterminio), alla quale scampa solo il clan di Raab, secondo il patto fatto in precedenza (2,12-14). Recenti scavi archelogici hanno però attestato che nel XIII sec. a.C., nel quale sarebbero avvenuti questi fatti, Gerico era già un cumulo di macerie e nessuno vi viveva più. Ciò vuol dire che il racconto non è storico, ma teologico-liturgico. Probabilmente esisteva una tradizione popolare sulle mura di Gerico, con delle fortificazioni fuori dall’ordinario fin dal neolitico. L’esito della battaglia è già dato all’inizio: non sono gli Israeliti a conquistare Gerico, ma è Dio a mettere Gerico nelle mani degli Israeliti , anche perché l’impresa era ben superiore alle loro forze. “Per fede, caddero le mura di Gerico, dopo che ne avevano fatto il giro per sette giorni”, ci ricorda l’autore della lettera agli Ebrei (11,30). I numeri simbolici rimandano anche alla simbolicità dei gesti, come se si trattasse più di un’azione liturgica che militare. Alla fine della conquista Giosuè pronunciò questo giuramento: “Maledetto davanti al Signore l’uomo che si metterà a ricostruire questa città di Gerico! Sul suo primogenito ne getterà le fondamenta e sul figlio minore ne erigerà le porte!” (6,26). Tale profezia si compirà in 1 Re, 16,34, per mano di Chièl di Betel: se Gerico non crede in JHWH, sarà votata alla distruzione; solo se, come Raab, riconosce JHWH ed il re da lui consacrato, sarà salva. Probabilmente la maledizione continua perché Chièl, che non è il re, cerca di portare avanti una successione ribelle. A Gerico il popolo d’Israele fa un’esperienza evidente dell’opera e della potenza di JHWH. Come allora, anche in questo giorno, quando Gesù entra in Gerico, si fa l’esperienza dell’opera e della potente misericordia di Dio. Alle porte della città (Lc18,35-42), Gesù ridona la vista ad un cieco e poi entra in città da vincitore. La cittadella inespugnabile è caduta perché l’occhio è guarito, le tenebre dell’incredulità sono vinte, è entrata la luce e la può attraversare. Gesù attraversa la città perché è alla ricerca di qualcuno. C’è infatti un’impresa molto più dura che espugnare una città fortificata, come era Gerico agli occhi di Giosuè, c’è un’impresa molto più ardua che affrontare una battaglia militare e vincerla: tale impresa, impossibile agli uomini e a qualsiasi esercito è conquistare il cuore di Zaccheo. Vedremo il perché. Gesù attraversa la città, tra l’altro discretamente grande, anche perché desidera passare tra le persone, essere in mezzo alle persone, percorrere gli spazi abitati e vissuti dall’uomo, farsi prossimo a tutti. Questo è anche lo stile della comunità cristiana, che non a caso ha deciso di essere presente nel territorio configurandosi in parrocchie. Parà-oikìa, in greco, esprime lo stare presso la casa, il risiedere accanto alle dimore altrui (1 Pt 2,11). I cristiani “vivono nella loro patria, ma da forestieri (paroikoi)” . Ci ricordano i Vescovi italiani: “La Parrocchia è una comunità di fedeli nella Chiesa particolare, di cui è come una cellula, a cui appartengono i battezzati nella Chiesa cattolica che dimorano in un determinato territorio, senza esclusione di nessuno, senza possibilità di elitarismo. In essa si vivono rapporti di prossimità, con vincoli concreti di conoscenza e di amore, e si accede ai doni sacramentali, al cui centro è l’Eucaristia; ma ci si fa anche carico degli abitanti di tutto il territorio, sentendosi mandati a tutti. Si può decisamente parlare di comunità cattolica, secondo l’etimologia di questa parola: di tutti” . Dunque, la Parrocchia non è un gruppo di persone che aspetta gli altri nei locali parrocchiali, ma è la comunità cristiana chiamata a farsi vicina a tutti gli abitanti del suo territorio. Si tratta allora di essere in mezzo alla gente, ma in senso dinamico, non fermandosi solo in qualche luogo. Un educatore discepolo di Gesù è prima di tutto una persona voluta e cercata da Gesù, per la quale Egli ha camminato tanto, alla quale gira intorno tante volte. Per questo egli ha la fede, per questo nella fede ha scelto il servizio educativo, per questo da educatore fa molto uso anche delle sue gambe, per poter incontrare il ragazzo o l’adolescente a lui affidato non solo durante l’incontro di A.C.R. o A.C.G., ma anche nella sua famiglia, nel suo tempo libero, nel suo impegno scolastico, nella sua attività sportiva, nel suo modo di vivere le relazioni, magari mettendosi in rete e cercando l’incontro con i suoi genitori, con il suo allenatore, con gli insegnanti…Che rapporto c’è tra la tua fede e la comunità parrocchiale in cui vivi? Ci sono state persone che come Gesù hanno fatto tanti chilometri per cercarti, per trasmetterti la fede, per esserti vicine? Quanti chilometri hai percorso e attraversato per cercare nei loro ambiti di vita le persone che ti sono affidate nel servizio educativo? Pensando alla conquista di Gerico, quanti giri hai fatto intorno ai ragazzi o agli adolescenti di cui sei educatore prima che la Parola di Dio potesse iniziare a fare breccia nel loro cuore? Oppure dopo alcune settimane, alcuni mesi, qualche anno che quel giovanissimo non viene più al gruppo te ne sei dimenticato, non lo hai più cercato? Quanto tempo (non tanto quantitativo) mentale, di preghiera, di attenzione dedichi a questa impresa più ardua che un’impresa militare?

19,5: Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”
Come si rapporta Gesù a Zaccheo? Zaccheo pensava che Gesù sarebbe passato per quella via perché tale era l’itinerario da fare, e lui avrebbe potuto guardarlo da lontano senza che Gesù se ne accorgesse. In realtà Gesù decide di passare in quel posto perché sa che lì, su quella via, in alto, sul sicomoro, c’è Zaccheo. Gesù è venuto a Gerico non per fare miracoli (ne ha fatto uno alle porte), non per incontrare i malati (per quanto sappiamo che gli stavano molto a cuore), non per radunare folle a cui insegnare o raccontare parabole (in altre occasioni lo ha fatto), ma proprio per incontrare Zaccheo. Non è lo sguardo di Zaccheo che si posa su Gesù, ma è lo sguardo di Gesù che si alza e si ferma su Zaccheo. S. Agostino, meditando su questo brano, ci ricorda: “Et vidit Dominus ipsum Zacchaeum. Visus est, et vidit…Sed nisi visus esset, non videret...Ut videremus, visi sumus; ut diligeremus, dilecti sumus...Deus meus, misericordia eius praeveniet me » . Forse l’evangelista Luca cerca di farci capire in profondità come è avvenuta la guarigione del cieco nell’episodio appena precedente, come nasce la fede nel cuore della persona, come è possibile vedere. Forse talvolta è capitato anche a te che, in un contesto affollato, ti accorgi di qualcuno in particolare perché ti scopri guardato da lui. E se si tratta di uno sguardo di amore o di interesse o di simpatia, probabilmente sei invogliato a corrispondere anche tu con uno sguardo di tenerezza e di simpatia. Chissà se è accaduto così quando ti sei innamorato o innamorata, ma il modo in cui ti guarda la persona che ami e che magari ti ha spinto a innamorarti non è lo stesso modo in cui ti guarda un amico, o un semplice conoscente, o un estraneo. Così è accaduto quel giorno. Gesù ha parlato alla vita di Zaccheo prima di tutto con uno sguardo, uno sguardo preciso, di elezione (proprio te cercavo, solo ora mi do pace che ti ho visto, ti ho tanto cercato), uno sguardo di amore (ho piacere di guardarti, non mi fai ridere perché sei basso o perché ti vedo arrampicato su un sicomoro…), uno sguardo esigente che vuole anche chiedere (oggi mi concentro su di te, andiamo in profondità nella tua vita). E’ proprio come dice S.Agostino: la sua misericordia, il suo amore, ci precede sempre, fa sempre il primo passo con noi. Le parole di Gesù non fanno altro che esplicitare il senso di quello sguardo. Prima di tutto lo chiama per nome: Zaccheo! Che cosa vede Gesù in Zaccheo? La folla non menziona il nome di Zaccheo, per la folla Zaccheo è “un peccatore”. La folla sa tutto il resto di quell’uomo, il lavoro che fa, dove abita, quanti soldi ha, soprattutto sa la sua posizione nei confronti della Legge, ma ha perso di vista il nome. Come quando noi oggi di qualcuno diciamo: è un convivente, è un divorziato, non può fare la comunione, non è neanche cresimato…ma Zaccheo non è solo questo. Per Gesù quell’uomo è prima di tutto Zaccheo, cioè una persona che ha una vocazione precisa, per la quale non è ancora detta l’ultima parola, anche se sembra compromessa. Riguardo il nome Zaccheo ho trovato due possibili etimologie: “il puro”, che sembra la più probabile e la più fondata, o “Dio ricorda”, che sembra la meno probabile e la più forzata. Potrebbe essere suggestivo averle presenti entrambe. Zaccheo per Gesù è sempre il puro, anche se la sua attuale situazione di vita sembra contraddire in maniera stridente a questa vocazione. Gli abitanti di Gerico non ritengono più possibile per Zaccheo essere il puro e non lo chiamano più con il suo nome, per lo sguardo di Gesù, invece, che non guarda solo le apparenze, ma va al cuore, questa vocazione è ancora presente e rimane ancora possibile per questa persona. Gesù ci crede ancora, ci scommette ancora, per questo chi guarda la propria storia, le situazioni e le persone con lo stesso suo sguardo spera contro ogni speranza, come il nostro padre Abramo (Rm 4,18), di cui Zaccheo rimane comunque figlio. Anch’egli, per Gesù, è figlio di Abramo, non lo sono solo i farisei e i sadducei che si presumono tali per difendersi dall’invettiva del Battista (Mt 3,9). Anche se ci trovassimo in una situazione estrema di peccato e di smarrimento, anche se gli altri arrivassero a non scommettere più un centesimo di stima su di noi, Dio si ricorderà sempre del nostro nome e della nostra vocazione, scritti a partire dal giorno del Battesimo per sempre nel libro della vita, come ci fa pregare la liturgia della Chiesa in occasione della celebrazione dei Battesimi: “Ricordati anche dei nostri fratelli che oggi hai liberato dal peccato e rigenerato dall’acqua e dallo Spirito Santo: tu che li hai inseriti come membra vive nel corpo di Cristo, scrivi i loro nomi nel libro della vita” . Con quale sguardo ti rivolgi alla tua vita, alle altre persone, ai genitori dei ragazzi che ti sono affidati, ai ragazzi o agli adolescenti del tuo gruppo? Fin dove arriva la tua speranza su di te e su di loro?
Alla pronuncia del nome segue un invito: scendi subito! Lo sguardo richiede un rapporto di reciprocità, alla pari: Gesù non può stare a parlare con Zaccheo sempre con il naso in sù, e non si accontenta di una curiosità superficiale. Scendi, non ti vergognare di me così come io non mi vergogno di te, non mordo, non ti condanno, non mi metti in imbarazzo, guardiamoci faccia a faccia. Gesù non vuole rimanere superiore a noi, non è venuto per comandare su di noi, ma è venuto per costruire con noi un rapporto alla pari, di amicizia: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,13-15). Gesù chiede a Zaccheo di diventare suo amico, gli vuole offrire la sua amicizia, vuole condividere con lui ciò che ha sentito su di lui dal Padre suo, cioè che anch’egli, la persona persa, in realtà è figlio di Abramo. Un rapporto alla pari è possibile per la sconcertante umiltà di Gesù: una persona orgogliosa e ricca come Zaccheo, abituata a guardare agli altri dall’alto in basso e ad arrampicarsi sempre per sopperire alle proprie debolezze, incontra Gesù sotto di sé, ai suoi piedi, come è successo a Pietro la sera dell’ultima cena con Gesù: “Signore, tu lavi i piedi a me?” (Gv 13,6). Signore, Dio, io dovrei essere ai tuoi piedi, non tu ai miei. Non sia mai. Eppure Gesù Cristo si è spogliato della sua vita da Dio e con Dio non solo per diventare uno di noi, ma per farsi nostro schiavo (Fil 2,7). Per questo devo scendere o guardare sotto di me se voglio incontrarlo, non solo perché Lui mi chiede di essere umile, ma prima di tutto perché Lui è umile e si mette ai miei piedi per servirmi.
Il verbo è seguito da un avverbio: subito! Tale avverbio non esprime la fretta di Gesù di andarsene da Gerico, Gesù non vuol dire a Zaccheo: sbrigati, ho tante cose da fare, non voglio perdere tempo con te, ti devo dire alcune cose velocemente. Questa è la dimensione della frenesia, in cui talvolta cade anche il tempo della nostra vita: un tempo estremamente ritmato, pieno a livello quantitativo, ma vuoto di qualità, di relazioni, l’ansia di dover continuamente dire: non ho tempo per... L’avverbio esprime invece il grande desiderio di Gesù di incontrare Zaccheo. Gesù vuole dire a Zaccheo: Zaccheo, ti ho cercato per tutta la città, sono qui proprio per te, non vedevo l’ora che arrivasse questo giorno, non vedo l’ora di incontrarti, non farmi aspettare ancora, fammi dono della tua presenza. Ho percorso con passo veloce questa grande città, perché non vedevo l’ora di incontrarti. Come vivi il tempo dedicato al servizio? E’ un tempo frenetico in cui il servizio aggiunge altre cose alle tante che hai già da fare, o è un tempo donato, in cui non vedi l’ora di incontrarti con gli altri educatori per pensare insieme la formazione delle persone che vi sono affidate, per formarvi voi stessi, e di incontrarti con i ragazzi o gli adolescenti di cui sei educatore? Con quale passo ti rechi a questi momenti, un passo svelto perché non vedi l’ora o un passo appesantito perché ci devi andare, lo devi fare?
Gesù continua con un altro avverbio di tempo l’invito rivolto a Zaccheo: oggi (semeron). Questa parola è molto importante per l’evangelista Luca. Se Baglioni cantava “La vita è adesso” Luca ci dice che la salvezza è oggi, la vita nuova che porta Gesù è oggi, il perdono dei peccati che tanto desideriamo perché oppressi dalla colpa è oggi, la felicità di una vita bella e piena è oggi, l’incontro decisivo della nostra vita è oggi. La salvezza non è ieri, non è cioè il ricordo nostalgico di qualche esperienza forte e bella (un caposcuola, una GMG…) che ho vissuto anni fa e non ritorna più, e non è neanche domani, un’attesa estenuante proiettata al futuro e sempre più irraggiungibile, non consiste nel dire: un domani se farai certe cose, se sarai perfetto, se abbandonerai certi vizi o certe brutte abitudini…Oggi è ogni giorno della propria vita, al di là di come comincia la giornata, al di là di come mi sento, al di là di quello che provo, perché ogni giorno Gesù mi cerca finchè non mi trova per incontrarmi, in qualsiasi situazione. Certo, quella giornata non è cominciata tanto bene per Zaccheo: era uscito di casa con un forte desiderio di vedere Gesù, aveva calcolato anche in quale via sarebbe passato ma, una volta arrivato sul posto, ecco già tanta folla che non lo fa passare, che gli impedisce la visuale, che gli fa pesare la sua piccola statura, che lo costringe ad arrampicarsi, che non lo può vedere…Eppure, gli dice Gesù, proprio questa giornata che è cominciata come è cominciata, è la tua giornata, è il giorno che può cambiare la tua vita, è il giorno in cui puoi incontrare la gioia. Per la folla, determinante nella considerazione di Zaccheo è il suo passato, ciò che Zaccheo ha fatto ed è stato fino alla sera prima, fino ad un minuto prima di quell’incontro con Gesù: è un peccatore. Oggi non sarà diverso da ieri, rimarrà sempre un peccatore. Eppure Gesù annuncia a Zaccheo di lasciar perdere il passato, che è possibile per lui oggi essere diverso, che oggi è il giorno decisivo per cambiare vita. Per Zaccheo, probabilmente, molto importante è il futuro, il domani. Immagino che una volta che la giornata si è messa come si è messa, Zaccheo abbia pensato: fammi un po’ vedere Gesù che passa, vediamo se farà qualcuno dei miracoli che gli sono attribuiti, vediamo se avrà qualcosa da dire ma, una volta passato, fammi subito scendere da questo scomodo sicomoro e tornare immediatamente ai miei affari. Ho tante cose da fare domani. Il ricco, ci ricorda l’evangelista Luca, è molto proiettato sul domani, fa molti progetti per il domani: “Che farò, perché non ho dove riporre i miei raccolti?...Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano ed i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni: riposati, mangia, bevi e datti alla gioia” (Lc 12,17.18-19). Ma Dio ricorda all’uomo ricco che questa è stoltezza, perché il domani potrebbe anche non esserci, e quella gioia potrebbe rimanere non provata. Per questo Gesù annuncia a Zaccheo: non aspettare domani, perché puoi incontrare la gioia già oggi. Per chi vive schiavo dei propri bisogni la gioia è sempre domani, non è mai oggi. Quale rapporto vivi con il tempo?
All’oggi Gesù aggiunge: devo, è necessario che io venga a casa tua. Anche qui si manifesta l’amore sconcertante di Gesù per i peccatori: Gesù non dice a Zaccheo: “Tu devi…per me”, e ne avrebbe validi motivi, vista la condotta di Zaccheo, ma dice: “Io devo…per te”. Il verbo dei in Luca ricorre tutte le volte che Gesù annuncia il mistero della sua passione, morte e Risurrezione: Lc 9,22, 12,50, 13,33, 24,26. In questi contesti il verbo sottolinea che per giungere alla gloria della Risurrezione e per salvare gli uomini, per Gesù è necessario soffrire molto. La sofferenza e la morte non sono incidenti di percorso, ma diventano necessarie nell’ottica dell’amore, scelte da Gesù. Per questo questo verbo scandalizza chi lo ascolta, Pietro come i due di Emmaus. Ma chi ama entra nella gloria solo percorrendo la via della sofferenza, altrimenti si tratta di una gloria effimera, data dagli uomini o addirittura da Satana (Lc 4,6). Chi ama vince il male e la violenza solo mediante la sofferenza, se non vuole anche lui come i discepoli reagire con la spada e diventare altrettanto violento (Lc 22,49-50). Ora, come è necessario a Gesù per amore di entrare nella sofferenza, così è necessario per Lui andare a casa di Zaccheo. L’amore per questa persona è così forte che non può farne a meno, la volontà del Padre che la salvezza raggiunga proprio tutti è così determinata che la visita a casa di Zaccheo è costitutiva nella missione del Figlio dell’uomo. Gesù non può giungere a Gerusalemme per compiere l’opera della salvezza senza aver messo piede a casa di Zaccheo. Come mi pongo nei confronti dei ragazzi o adolescenti che mi sono affidati? Dico “Tu devi…” o manifesto ciò a cui l’amore per Cristo e per loro mi spinge?
Cosa deve fare Gesù? Rimanere a casa di Zaccheo. Il verbo usato, menein, non induce a pensare ad una visita breve, frettolosa, con uno scopo preciso, ma ad un trattenersi con calma, a lungo, quasi un pernottare. Al cap 15 di Giovanni ricorre molto questo verbo: Gesù, più volte ripete: rimanete in me, rimanete nel mio amore, se le mie parole rimangono in voi. Rimango là dove ho piacere di stare, con chi ho piacere di stare. Al contrario di ciò che prova la folla, Gesù ha piacere di stare con Zaccheo, a casa sua. Ci si trattiene volentieri, lasciando fuori dalla porta la preoccupazione in merito all’opinione della gente. “Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi, in noi” ci ricorda Gv 1,14. Il Verbo è venuto in mezzo agli uomini per rimanerci, per essere sempre con noi fino alla fine dei tempi (Mt 28,20). All’inizio Gesù è l’ospite e Zaccheo colui che lo ospita a casa sua, ma il rimanere di Gesù capovolge la situazione: Zaccheo diventa l’ospite dell’amore e del piacere di Gesù, lui che sicuramente non era abitato ad ospitare e ad essere ospitato nel cuore e nelle case altrui. Per questo Gesù avrà a dire ai settantadue inviati in missione: “Restate in quella casa” (Lc 10,7).

19,7 Vedendo ciò tutti mormoravano: “E’ andato ad alloggiare da un peccatore”
La gente, travisando, coglie comunque questo atteggiamento di Gesù. Il verbo greco che traduciamo con alloggiare, katalysai, esprime l’idea del riposo. Gesù è andato a riposare a casa di Zaccheo. Non in tutti i luoghi riusciamo a riposare. Riposiamo solo lì dove ci sentiamo al sicuro, tranquilli, lì dove abbiamo piacere a stare. I luoghi del riposo spesso vengono cercati con una certa fatica, sono i luoghi in cui si crea intimità con se stessi e con qualcuno. Gesù mostra a Zaccheo che a casa sua Egli finalmente può riposare, perché ci sta bene, e non è più stressato dalla calca della folla che continuamente gli stava addosso per le strade di Gerico. Zaccheo percepisce sicuramente la sua casa, luogo di lavoro, di affari, forse di frenesia, sotto una luce diversa: è il luogo scelto da Gesù per riposare. Quali sono i luoghi in cui Gesù ha riposato, Lui che non ha dove posare il capo (Lc 9,58)? Il primo luogo, che Luca indica con il nome greco katalyma (da katalyo, appunto), è sì un luogo di riposo, per persone con possibilità economiche, in cui Gesù non trova posto (2,7). In quel caso Egli trova riposo in una mangiatoia, dove è stato deposto da Maria e Giuseppe. E’ un luogo povero e precario, nel quale però Gesù gode delle cure di Maria e Giuseppe, e dell’adorazione dei pastori e dei Magi. Gesù non trova riposo tra i ricchi, ma tra i poveri, con gli ultimi, con i peccatori come i pastori e come Zaccheo, anzi Egli stana i ricchi come i Magi a cercarlo in questi luoghi. Poi Luca usa il nome katalyma a proposito della stanza riservata a Gesù per celebrare la Pasqua con i suoi discepoli (22,11), perché Gesù ha desiderato ardentemente la Pasqua con loro, prima della passione (22,15). Più che di luogo, potremmo chiederci: quali sono le condizioni perché Gesù abbia a riposarsi? Per riposarsi Gesù non sceglie alberghi o luoghi di villeggiatura, Egli si può riposare solo quando si è fatto vicino ad ogni uomo, anche a quelli difficilmente raggiungibili perché emarginati dagli altri come i pastori, i poveri, quando finalmente ha raggiunto anche il cosiddetto “caso disperato” come Zaccheo, Gesù può riposare nel momento in cui giunge a donare totalmente la sua vita per i suoi.

19,9 Gesù gli rispose: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”
Gesù prolunga l’annuncio dato a Zaccheo. Alla voglia e alla gioia di incontrare Zaccheo, Gesù aggiunge che quell’incontro ha prodotto un effetto che durerà oltre quel giorno. Non si tratta solo di un evento particolare che si apre e si chiude, ma in quel giorno la vita di Zaccheo è cambiata, è salva, ha acquistato un nuovo senso, un nuovo valore, una nuova dignità. Da quel giorno per Zaccheo è possibile vivere un rapporto nuovo con i soldi, con le persone, con i poveri. La gioia di quel giorno può accompagnare tutti i giorni della vita di quest’uomo. La salvezza non è solo per Zaccheo, ma per la sua casa. Nella Sacra Scrittura la casa non indica solo l’edificio dove uno abita, ma la famiglia stessa. Gesù ripartirà dalla casa di Zaccheo, ma per costui rimane comunque un sostegno importante per continuare a credere e a vivere da salvato, il sostegno della sua famiglia. La Chiesa stessa, in essa l’Azione cattolica sono la famiglia che ci sostiene nel vivere e testimoniare la fede, nell’essere ogni giorno pietre vive dell’edificio spirituale che il Signore ha voluto come sua dimora nella storia, nella fatica del ricominciare e della conversione. “Il carisma dell’A.C. è comunitario: non si vive isolatamente, ma insieme, in una testimonianza corale ed organica; per noi prende la forma dell’Associazione. L’esperienza associativa costituisce una scuola di grande valore; essa richiede attenzioni e cura perché non scada in un puro fatto organizzativo, ma conservi la carica umana e spirituale di incontro tra le persone, in una familiarità che tende alla comunione e in un coinvolgimento che tende alla responsabilità” , ci ricorda il progetto formativo. In che misura l’A.C. della mia parrocchia è una scuola di vita cristiana per me? E’ l’associazione tutta un sostegno per il servizio educativo che vivo o tutto grava sul cosiddetto “gruppo educatori”? L’annuncio riguarda l’identità profonda di Zaccheo, mai persa del tutto ed ora pienamente ritrovata: anch’egli, seppur escluso dagli altri, è figlio di Abramo. L’annuncio riguarda poi il mondo intero e la Chiesa tutta: il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto, il cosiddetto “caso disperato”, quella persona per il cui recupero ormai nessuno riesce a fare più niente. Solo giunto a questo punto, Gesù può riposarsi. Ognuno di noi, per quanto possa allontanarsi dalla Parola di Dio, dai sacramenti, dalla comunità cristiana, dalla morale cattolica, mai sarà dimenticato da Dio ed escluso dalla ricerca di Gesù. Il sacramento della penitenza è la possibilità costante di essere riconciliato al Padre in Cristo per mezzo della Chiesa: “Più ancora, il nostro Salvatore Gesù Cristo, quando conferì ai suoi apostoli e ai loro successori il potere di rimettere i peccati, istituì nella sua Chiesa il sacramento della penitenza, perché i fedeli caduti in peccato dopo il Battesimo riavessero la grazia e si riconciliassero con Dio” . Nessuna persona, anche se lo diventa per il mondo, può essere esclusa dall’attenzione pastorale della comunità cristiana. Non a caso, oltre a Gesù, è l’evangelista Luca a ricordarci che il nome di questo ricco è Zaccheo: è l’occhio credente della comunità cristiana che si sporge oltre le apparenze per scorgere la dignità di persona, di figlio amato da Dio, e la conseguente vocazione dell’uomo. Quando e come ho fatto l’esperienza della misericordia di Dio? Che rapporto vivo con il sacramento della penitenza? In che misura sono il segno di Colui che è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto? Per Gesù è necessario andare a cercare colui che è venuto a trovarsi nella situazione di maggiore lontananza possibile dalla Legge.

Ripercorriamo in sintesi lo stile di Gesù con Zaccheo. Come riesce Gesù a portare la salvezza nella vita di Zaccheo? Egli non ricorre per niente alla Legge o alla morale, non pronuncia nessun “Tu devi…” o “vengo da te a patto che…”. Egli esprime per Zaccheo amore gratuito ed incondizionato attraverso lo sguardo, l’annuncio di una buona notizia e l’atteggiamento, che manifesta il piacere e la gioia di stare con lui, che dagli altri è messo a distanza perché è un peccatore. E lo stile con cui evangelizzo ed educo? Quante volte ricorro alla morale, al “tu devi”?

Ora uno sguardo veloce su Zaccheo.
19,2-3 Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura
Cosa ci dice Luca di Zaccheo? Era capo dei pubblicani e ricco. Per diversi motivi era allora inviso ai giudei: come pubblicano, era un collaboratore dei romani, del popolo oppressore, maneggiando i soldi era un impuro, un contaminato. Come molti altri pubblicani, nel riscuotere le tasse, non si limitava a chiedere il giusto, ma estorceva qualcosa di più tenendolo per sé e arricchendosi ingiustamente. Era arcipubblicano, dunque era potente. Chi ha potere, quindi non si limita solo ad esercitare un’autorità e la responsabilità conseguente, è un adoratore di Satana: “Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo”, dice Satana a Gesù (Lc 4,6-7). Chi è potente, come Erode, è uno stupido, secondo la logica del Regno, perché non comprende chi è Gesù, non ne coglie il senso della presenza e della missione (Lc 13,32, questo è il senso del termine volpe, con cui Gesù definisce Erode). Era ricco, e l’evangelista ci ricorda a proposito: “Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione” (6,24). Il ricco vive nella logica del bisogno e della sua soddisfazione. Egli ha già subito la sua consolazione perché ha le possibilità economiche per permettersi subito tutto ciò di cui sente di aver bisogno. Tale consolazione è però molto provvisoria, perché ad un bisogno soddisfatto ne subentra subito un altro, ancor più grande e pressante. Ecco il motivo del guai evangelico, perché il ricco è consegnato ad un continuo affanno e ad una continua agitazione (12,22-31), magari guadagna il mondo, ma perde se stesso (9,25). Una spia di questo perdersi, soprattutto nella vita dei giovani, può essere la noia: “…la noia per i nostri giovani e le nostre giovani è l’emozione di chi possiede tante cose ma non il significato del possederle…I ragazzi hanno tutto, sanno tutto, possiedono tutto: ma manca loro la dimensione del senso; questo è quello che è stato loro tolto e che viene sempre più sottratto quando l’adulto, per ovviare all’infelicità del bambino, gli offre inutili cose piuttosto che l’unica cosa della quale essi hanno realmente, disperatamente bisogno: il proprio tempo” . Francesco Guccini esprime benissimo questa sensazione: “Esser tutto un momento, ma dentro di te aver tutto, ma non il domani” . Guai a te, ricco, hai tutto, tranne il domani, tranne la vita eterna (Lc 16,19-31), tutto tranne il vero tesoro (Lc 12,33-34). Chiaramente, alla fine nella vita del ricco il desiderio più potente è il desiderio dei soldi: non bastano mai, sono il mezzo per procurarsi tutto il resto comprandolo, si insegue il profitto per se stesso. Ricco e arcipubblicano: non c’è fortezza migliore che potesse essere costruita per non far entrare il Regno di Dio, non c’è situazione più lontana dal Regno che quella di Zaccheo. Per fortuna questa fortezza ha qualche punto debole. Innanzitutto un limite fisico, di fronte al quale Zaccheo, pur con tutti i soldi che ha, non può farci nulla: è basso di statura. Egli non può procurasi ulteriori centimetri in altezza. Siccome la persona è una profonda unione di anima e di corpo, un limite fisico non riguarda solo il corpo, ma l’intera persona, tanto più che la folla glielo fa pesare e in quella mattina tale limite non gli consente di mettersi nella posizione che voleva, in prima fila lungo la strada. Avere dei limiti, dei difetti, fisici o interiori, non è una disgrazia, anzi è quella crepa provvidenziale attraverso la quale può entrare la grazia. Inoltre c’è un bisogno che quella mattina si impone sugli altri, a tal punto che costringe Zaccheo ad uscire di casa e a salire su un sicomoro: il bisogno di sapere chi, tra quelle tante persone, fosse Gesù. Cosa si nasconde dietro questo bisogno? Forse qualcosa più di un bisogno, forse un desiderio di un incontro che non si può perdere, forse il desiderio che talvolta sarà balenato per qualche istante nel cuore di questo ricco di una vita diversa, di vita eterna, come del resto poco prima era accaduto ad un notabile molto ricco (Lc 18,18-23). Il desiderio è oltre il bisogno, al di là della logica dell’interesse, proietta all’infinito. La parola de-siderare richiama non a caso le stelle: è bello di notte ammirare un cielo stellato, ma non appena contemplo gli astri, percepisco anche la grande distanza alla quale essi si trovano. Chi si pone davanti all’infinito, ne è attratto, ma simultaneamente ne coglie anche l’infinita distanza. Zaccheo vedrà il suo desiderio realizzato: riuscirà a distinguere chi, in mezzo alla folla, è Gesù, non perché Gesù è vestito in maniera particolare o ha qualche originale segno di riconoscimento o è circondato da una scorta di guardie del corpo, ma perché si scoprirà guardato da Gesù. Quale fortezza ti è capitato o ti accade di costruire nei confronti di Gesù, della Parola di Dio e degli altri? Quali sono le tue ricchezze o le tue forme di potere? Quale rapporto vivi con i tuoi limiti e i tuoi fallimenti?

19,4 Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là
Il salire su un sicomoro da parte di Zaccheo può essere letto come gesto che esprime la superbia e l’orgoglio di Zaccheo, abituato a guardare gli altri dall’alto in basso e a trovare continue strategie per mascherare i propri limiti. Ma può anche essere letto in senso positivo: Zaccheo ha coraggio, quella mattina, arrampicandosi sul sicomoro, è disposto anche a perdere la faccia agli occhi della gente pur di riconoscere Gesù. Quel sicomoro è comunque l’albero che in quel giorno permette a Zaccheo di incrociare lo sguardo di Gesù, cosa che sarebbe stata impossibile se Zaccheo non ci fosse salito. S. Basilio Magno commenta così il sicomoro: “Il sicomoro è un albero, che produce moltissimi frutti. Ma non hanno nessun sapore, se non li si incide accuratamente e non si lascia fuoriuscire il loro succo, cosicché divengano gradevoli al gusto. Per questo motivo, noi riteniamo, è un simbolo per l’insieme dei popoli pagani: esso forma una gran quantità, ma è allo stesso tempo insipido. Ciò deriva dalla vita secondo le abitudini pagane. Quando si riesce ad inciderla con il Logos, si trasforma, diviene gustosa e utilizzabile” . S. Basilio declina l’immagine del sicomoro per descrivere l’incontro del Vangelo e delle culture, noi cerchiamo di declinarla nella nostra vita. Che cosa o chi, oggi, per me, costituisce il sicomoro, quello strumento che mi permette di incrociare lo sguardo di amore di Gesù per la mia vita? Visto il contesto odierno, immaginiamo che questo sicomoro sia l’Azione Cattolica: è grazie all’Azione Cattolica che Gesù ha potuto guardarti, chiamarti e chiederti di essere educatore. Essa è un albero pienissimo di frutti: alcuni, una volta colti, sono diventati frutti gustosi e utili, come le venerabili Marietta Gioia e Paola Renata Carboni, e tutti i santi e le sante di A.C. di cui abbiamo fatto memoria in occasione del 140.mo, perché si sono fatti incidere dalla Parola di Dio che è “viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti ed i pensieri del cuore” (Eb 4,12), tantissimi altri sono stati colti ma devono essere incisi dalla Parola e fatti maturare, divenire gustosi e utili, altri sono ancora da cogliere (i ragazzi o gli adolescenti a noi affidati? Alcune loro famiglie?...) Noi, che frutti siamo in questo momento? Ci stiamo lasciando incidere dalla Parola di Dio per essere gustosi e utili? L’Azione Cattolica, per noi è questo sicomoro che ci permette di incrociare ogni giorno lo sguardo di Gesù?

19,6 In fretta scese e lo accolse pieno di gioia
Commenta S.Ambrogio: “Zaccheo, sul sicomoro, è il nuovo frutto della nuova stagione” . Zaccheo è il primo frutto perché si lascia incidere dall’annunzio di Gesù, dalla sua Parola. La gioia che prova Gesù nel vederlo e nel volerlo incontrare diventa la gioia con cui Zaccheo lo accoglie a casa, la fretta, che non è frenesia, che ha Gesù per poter stare con quest’uomo diventa la fretta con cui Zaccheo scende dall’albero per andargli incontro, il coraggio con cui Gesù sfida l’opinione della gente manifestando il desiderio di incontrare questo peccatore è il coraggio con cui Zaccheo scende e non si vergogna di averlo a casa. Gesù ha piacere di fermarsi da Zaccheo, Zaccheo ha piacere ad intrattenersi con Gesù. Come può l’Azione Cattolica aiutarci a lasciarci incidere dalla Parola di Gesù, aiutarci a vivere un incontro con Lui come quello di Zaccheo, aiutarci ad accoglierlo con gioia a casa nostra? Quest’anno l’associazione ci aiuta consegnandoci degli appunti per una regola spirituale, e ricordandoci l’importanza di darsi una regola spirituale. Una regola spirituale non è un elenco di pratiche o di doveri, ma un insieme di esperienze stabili che ci aiutano ogni giorno a ricondurre la nostra vita a Cristo: “La vita nello Spirito richiede umiltà e obbedienza alle sue ispirazioni, esige fedeltà e costanza. Un aiuto può venire dalla regola di vita spirituale” . Gli elementi di una regola spirituale sono: la scelta della guida spirituale, la pratica stabile della lectio divina, un’esperienza stabile di servizio, occasioni concrete e ripetibili di vita comune, la scelta consapevole dell’A.C. come luogo per contribuire alla missione della Chiesa .
Mi sto dando una regola di vita spirituale? Ne sento l’esigenza? Sto considerando tutti gli elementi sopra citati? Qual è per me la dimensione più difficile da vivere?

19,8 Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”
Es 22,3.6 prescrive: “Il ladro dovrà dare l’indennizzo: se non avrà di che pagare, sarà venduto in compenso dell’oggetto rubato. Se si trova ancora in vita e ciò che è stato rubato è ancora in suo possesso, si tratti di bue, di asino o di montone, restituirà il doppio…Quando un uomo dà in custodia al suo prossimo denaro e oggetti e poi nella casa di costui viene commesso un furto, se si trova il ladro, quest’ultimo restituirà il doppio”. Il libro del Levitico così si regola: “Quando qualcuno peccherà e commetterà un’infedeltà verso il Signore, perché inganna il suo prossimo riguardo a depositi, a pegni e a oggetti rubati, oppure perché ricatta il suo prossimo, o perché trovando una cosa smarrita, mente in proposito e giura il falso riguardo a una cosa in cui uno commette peccato, se avrà così peccato, si troverà in condizione di colpa. Dovrà restituire la cosa rubata o ottenuta con ricatto o il deposito che gli era stato affidato o l’oggetto smarrito che aveva trovato o qualunque cosa per cui abbia giurato il falso. Farà la restituzione per intero, aggiungendovi un quinto, e renderà ciò al proprietario nel giorno in cui farà la riparazione” (5,21-24). Il libro dei Numeri così prescrive: “Quando un uomo o una donna avrà fatto qualsiasi peccato contro qualcuno, commettendo un’infedeltà contro il Signore, questa persona sarà in condizione di colpa. Dovrà confessare il peccato commesso. Restituirà per intero ciò per cui si è reso colpevole, vi aggiungerà un quinto e lo darà a colui verso il quale si è reso colpevole” (5,5-7). Se avete fatto attenzione alle quantificazioni, vi accorgete che Zaccheo si impegna ben oltre ciò che è richiesto dalla Legge: non solo un quinto, ma quattro volte tanto. Di fronte all’amore grande, gratuito ed incondizionato di Gesù per la sua vita, Zaccheo si fa da solo la morale per andare oltre la morale, oltre le esigenze della Legge, per compiere la Legge nell’amore verso i poveri. Zaccheo non vuole solo riparare un’ingiustizia commessa nei confronti dei poveri, ma vuole amare i poveri. Egli abituato a contare per risparmiare, per non perdere o tutt’al più pareggiare in vista di un guadagno futuro, ora non calcola più, conta per perdere e largheggiare. Tu come misuri il tempo e le forze dedicate al servizio educativo? Sei attento a non perdere o a pareggiare? Ti sembra troppo o poco quello che doni?

Che questa parola ci accompagni in questo anno nella nostra formazione e nella nostra crescita.